Ergastolo per Filippo Turetta, l’assassino della povera Giulia Cecchettin. Giustizia è stata fatta si dice in questi casi, ma stavolta c’è di più. Nel testo, cioè nel merito, e nel contesto. Il contesto è quello di un femminicidio che, senza nulla togliere alle altre tragedie, è diventato simbolo e terreno di battaglia anche culturale e politica. La sorella della vittima e soprattutto il padre non sono solo diventati testimonial di un dolore che si è fatto di dominio pubblico, ma hanno fatto attività di denuncia, conoscenza e prevenzione. Lo dico al di là delle polemiche ideologiche sul patriarcato che spesso sono fuorvianti. La pena in questi casi è solo un elemento della questione ma che sia stata massima vuol dire che nei confronti del carnefice la giustizia ha fatto il suo compito senza se e senza ma e senza tentennamenti o ambiguità o strane attenuanti.
Il fatto che qualche giorno fa un altro femminicidio che aveva fatto discutere per la sua crudeltà e per la sua freddezza (Alessandro Impagnatiello carnefice di Giulia Tramontano) si sia concluso con I‘ergastolo dice che in questo momento storico su un tema sociale decisivo la certezza della pena c’è e come. Io mi sono sempre battuto per la certezza della pena che in certi ambienti viene vista con sospetto reazionario, penalista e destrorso, perché è invece garanzia di democrazia per gli altri cittadini. Essi sanno che chi sbaglia paga in modo proporzionale per i propri errori, in questo caso l’aver tolto la vita a delle giovani donne.
Servirà questo a fermare un fenomeno terribile? Probabilmente no, ma la civiltà dà un segnale. Poi tocca a tutti noi fare il resto.