Paderno, piccolo centro a 20 km da Milano. Un giovane di 17 anni ha ucciso il fratellino di 12 anni, accanendosi su di lui, poi il padre e la madre. L’arma, ancora una volta, il coltello, sempre di più l’arma che accompagna i giovanissimi di tutte le classi sociali nella risoluzione emotiva dei loro problemi. Nessun movente, famiglia normale e benestante, ragazzo normale, scuola, sport, un po’ di introversione.
Shock nel paese e nelle strette amicizie e parentele, tutto normale, nessuna crepa, che sarà successo mai? Chiaro che le prime spiegazioni le danno gli specialisti, ancor prima degli inquirenti. I genitori sanno tutto di padel ma nulla dei loro figli, si parla di soldi ma non si parla mai davvero. La famiglia è finita da tempo e nessuno lo vuole ammettere.
Tutto giusto e tutto nello stesso tempo incompleto. Come diceva il grande Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina, tutte le famiglie felici si assomigliano, ognuna è infelice a modo suo. È su quel tratto specifico della singola infelicità che inizia il mistero, per gli scrittori come per i giornalisti e gli investigatori. Nei pessimi giorni ne sapremo di più, ma certo qui siamo al rovesciamento speculare del delitto di Sharon Verzeni. L’incontro fatale con l’Altro, il predatore casuale, e l’inferno che macera dentro le relazioni più importanti della vita, quelle della famiglia. Quell’inferno oggi ci lascia senza parole e a poco servono le statistiche impietose sui delitti di prossimità. Guardiamoci un po’ di più allo specchio, tutti, e vediamo che cosa si nasconde sotto la nostra immagine patinata.