Il ministro della giustizia italiano Carlo Nordio

Molto rumore per poco

Si è parlato tanto in questo periodo della giustizia americana, del processo o dei processi a Trump, ma voi cari amici che vivete al di qua dell’Oceano non avete idea del caos in cui grava la giustizia italiana. Si parla di riforma da anni ma nessuno, davvero nessuno, riesce a metterci le mani in maniera organica. Anche in questi caldi, caldissimi giorni d’agosto, agli ultimi atti del Parlamento prima della pausa balneare, balneari permettendo, scontri furibondi tra maggioranza e opposizione hanno occupato la scena al di là di una razionale comprensione dell’opinione pubblica. Molto rumore per nulla direbbe Shakespeare, comunque molto rumore per poco. Da Draghi in poi, solo per citare gli ultimi due anni e non le tragiche discussioni che vanno avanti da Tangentopoli, ovvero dal 1992, mille sforzi solo per piccoli passi. Nessuno neanche si ricorda più le post democristiane piroette della povera Ministra Cartabia: adesso, ogni volta che il suo successore alla Giustizia Nordio parla, propone, scrive, apriti cielo. L’ultimo tema il decreto carceri, un primo tentativo del governo di mettere mano a una situazione complessa e drammatica: sovraffollamento e suicidi, scarsa qualità complessiva della detenzione per una democrazia che si rispetti. Bisogna svuotare razionalmente gli istituti con pene alternative, rifare le strutture, assumere personale, ma quando si parla di rivedere i criteri della giustizia cautelare destra e sinistra si scannano. Le opposizioni pensano di fatto che il governo voglia proteggere i colletti bianchi a scapito dei normali cittadini. Non è così, ma sarebbe lungo ora occuparcene tecnicamente e lo faremo a tempo debito. Il vero problema è che una riforma su questi temi richiede una visione complessiva dell’uomo, dei diritti e dei doveri, e dei limiti del nostro sistema, mentre in Italia si procede per muri ideologici e scontri corporativi. Mattarella ha promulgato il decreto carceri ma il suo ruolo di arbiter formale su questi temi è sempre più difficile. Se ne riparla a settembre, sciopero degli ombrelloni permettendo.

Si è parlato tanto in questo periodo della giustizia americana, del processo o dei processi a Trump, ma voi cari amici che vivete al di qua dell’Oceano non avete idea del caos in cui grava la giustizia italiana.

Si parla di riforma da anni ma nessuno, davvero nessuno, riesce a metterci le mani in maniera organica. Anche in questi caldi, caldissimi giorni d’agosto, agli ultimi atti del Parlamento prima della pausa balneare, balneari permettendo, scontri furibondi tra maggioranza e opposizione hanno occupato la scena al di là di una razionale comprensione dell’opinione pubblica. Molto rumore per nulla direbbe Shakespeare, comunque molto rumore per poco.

Da Draghi in poi, solo per citare gli ultimi due anni e non le tragiche discussioni che vanno avanti da Tangentopoli, ovvero dal 1992, mille sforzi solo per piccoli passi. Nessuno neanche si ricorda più le post democristiane piroette della povera Ministra Cartabia: adesso, ogni volta che il suo successore alla Giustizia Nordio parla, propone, scrive, apriti cielo.

L’ultimo tema il decreto carceri, un primo tentativo del governo di mettere mano a una situazione complessa e drammatica: sovraffollamento e suicidi, scarsa qualità complessiva della detenzione per una democrazia che si rispetti. Bisogna svuotare razionalmente gli istituti con pene alternative, rifare le strutture, assumere personale, ma quando si parla di rivedere i criteri della giustizia cautelare destra e sinistra si scannano.

Le opposizioni pensano di fatto che il governo voglia proteggere i colletti bianchi a scapito dei normali cittadini. Non è così, ma sarebbe lungo ora occuparcene tecnicamente e lo faremo a tempo debito. Il vero problema è che una riforma su questi temi richiede una visione complessiva dell’uomo, dei diritti e dei doveri, e dei limiti del nostro sistema, mentre in Italia si procede per muri ideologici e scontri corporativi.

Mattarella ha promulgato il decreto carceri ma il suo ruolo di arbiter formale su questi temi è sempre più difficile. Se ne riparla a settembre, sciopero degli ombrelloni permettendo.

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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