Oggi nei ristoranti italiani di tutto il mondo non bolle solo l’acqua per la pasta ma è palpabile l’entusiasmo che riempie le cucine e pervade lo spirito dei cuochi dietro i fornelli. Dopo un giro di telefonate fatte per misurare la soddisfazione sulla promozione della cucina italiana a Patrimonio dell’Unesco mi ha particolarmente colpito la dichiarazione di Giovanni – famoso ed antico ristoratore italiano di New York, che mi dice: “li abbiamo presi per la gola … ed abbiamo vinto“. Un sintetico riassunto del lavoro quotidiano svolto da migliaia di ristoratori nel mondo da decenni, un mix di formazione, degustazione ed informazione per far capire ai commensali di tutto il mondo non solo cosa si mangia ma anche come si mangia.
Giovanni è un fiume in piena e tra aneddoti e curiosità ci tiene a ribadire un concetto importante – uno dei nostri compiti principali da sempre è insegnare a mangiare e non solo a nutrirsi. Per l’emigrante, la cucina non è mai stata una questione di calorie o di moda; è stato, ed è, il cordone ombelicale che tiene legato il cuore alla madrepatria. In un mondo che cambiava rapidamente, dove la lingua, il clima e i volti erano estranei, il rituale della cucina italiana era l’unica costante, l’unico rifugio sicuro.
L’emozione legata alle tradizioni culinarie nasce dalla nostalgia, un sentimento che attanaglia ogni emigrante. Cucinare un piatto tradizionale è un viaggio sensoriale nel tempo e nello spazio. L’odore del soffritto, l’abbinamento dei prodotti, la preparazione di un sugo, il profumo dei pomodori, l’aroma di un buon caffè espresso, il gesto di tirare la sfoglia per le lasagne domenicali: ogni azione è un ponte che collega il presente lontano al passato vicino, mantenendo vivo un legame che la distanza fisica ha reciso.
In questo scenario emotivo, l’opera delle associazioni degli emigranti è stata a dir poco preziosa. Esse hanno fornito la struttura, il luogo fisico e l’organizzazione necessari per trasformare l’isolamento della nostalgia in celebrazione comunitaria. Radici profonde nel mondo ma il cuore in cucina, un esempio per tutti proprio a New York dove dal 1929 esiste e resiste uno dei Club Italiani piu famosi, la Famee Furlane, che insieme ad altre organizzazioni di Italiani all’estero hanno agito come veri e propri centri di resistenza culturale. Attraverso feste, presentazioni di libri narrativi e storici, concerti, mostre fotografiche e momenti conviviali, non si sono limitate a sfamare i corpi, ma hanno nutrito le anime.
I pranzi della domenica con tutta la famiglia riunita, il ricordo dei Santi Patroni, la festa della Repubblica, il Carnevale, la Festa delle Castagne, il Cenone di Natale, il pranzo con gli Alpini di un tempo, testimoni silenziosi delle vicende storiche di un tempo che fu, tutti momenti in cui le associazioni hanno ricreato i riti della socialità italiana, il buon cibo, il buon vino, il ballo, l’immancabile gioco delle carte garantendo così che le tradizioni non venissero dimenticate nelle frenetiche e lontane geograficamente società ospitanti.
Intorno a una tavola imbandita, tra un piatto di lasagne e un bicchiere di vino, si è continuato a parlare la lingua italiana ed i dialetti, a raccontare le storie degli avi, a tramandare i modi di dire e i valori. La cucina è stata la più potente aula di lingua e storia italiana.
Mantenere viva la memoria del vero sapore di casa è stato il loro obiettivo principale. Hanno organizzato corsi di cucina, degustazioni, eventi per valorizzare i prodotti autentici e per difendersi dalle imitazioni, diventando sentinelle del gusto Made in Italy combattendo con chi voleva mettere il formaggio sul pesce, l’ananas sulla pizza o il ragù pronto i 7 minuti.
Grazie a questa rete capillare e appassionata, la tavola italiana è diventata un altare dell’identità, un porto franco dove le ansie dell’integrazione si sciolgono nel calore umano. È qui che si è insegnato ai figli e ai nipoti nati all’estero chi sono veramente e da dove vengono.
Il riconoscimento UNESCO di oggi è la validazione suprema di questa resistenza emotiva ed organizzativa. È la conferma che quelle lacrime versate sulle lasagne, quella caparbietà nel cercare l’ingrediente giusto e l’instancabile opera delle associazioni non sono state vane. L’Italia è la culla di questa cultura, ma gli emigranti e le loro associazioni sono stati i giardinieri che l’hanno fatta fiorire ovunque nel Mondo.




