Un’intervista per capire l’inchiesta sulle molestie nel giornalismo italiano

Negli ultimi quindici anni, varie ricerche sul lavoro culturale in Italia hanno mostrato come il settore dell’informazione sia tra quelli con i livelli più alti di precarietà, turn-over e squilibri di genere nelle posizioni decisionali. Secondo gli ultimi rapporti dell’Ordine dei Giornalisti e dell’Osservatorio sul giornalismo, le donne rappresentano circa la metà della forza lavoro registrata ma restano nettamente minoritarie nelle cariche di direzione, un divario che incide sulla possibilità di definire priorità editoriali e tutele professionali. In parallelo, organismi internazionali come l’IFJ e l’UNESCO segnalano da anni che molestie, abusi di potere e discriminazioni nel settore dei media tendono a essere più diffusi proprio nei contesti con scarsa stabilità contrattuale e catene gerarchiche opache. È dentro questo quadro – fatto di carriere discontinue, poca rappresentanza e strumenti di tutela spesso insufficienti – che si colloca la nuova indagine avviata da un gruppo di giornaliste italiane, con l’obiettivo di rendere visibile una parte del lavoro che, finora, è rimasta fuori dalla discussione pubblica. Il collettivo si chiama Espulse e ne abbiamo intervistato una delle giornaliste fondatrici, Roberta Cavaglià, per farci raccontare le proposte, le inchieste e gli obiettivi.

Nel giornalismo si continua a parlare di molestie come se fossero episodi isolati, quando i numeri dicono l’opposto. Secondo te qual è il motivo per cui, proprio nelle redazioni, questo tema resta così poco nominato anche da chi dovrebbe raccontarlo?

In Italia non c’è stato un vero e proprio #MeToo e tutti i tentativi delle donne di far sentire la loro voce sulle molestie sono stati messi a tacere o messi in discussione molto velocemente – per questo è ancora più sorprendente e incoraggiante quello che sono riuscite a ottenere Amleta e Differenza Donna al Tribunale di Parma. In più, nel mondo del giornalismo, c’è molta reticenza nel fare autoanalisi rispetto alle storture del settore, a partire dal tema economico. Infine, non dobbiamo dimenticare che nelle posizioni di leadership (direttore, caporedattore, caposervizio) nelle redazioni italiane ci sono soprattutto uomini.

“Espulse” nasce da quattro giornaliste freelance che lavorano in contesti molto diversi. Cosa vi ha fatto pensare che non bastava più la denuncia individuale e che serviva un progetto collettivo per mappare il fenomeno?

Le molestie sessuali, gli abusi di potere e le discriminazioni di genere hanno una dimensione sistemica, ovvero si producono in contesti anche molto diversi tra loro. L’obiettivo, come hanno descritto numerose studiose femministe prima di noi, è quello di escludere le donne dal mondo del lavoro. Nel settore del giornalismo, nello specifico, le molestie di per sé non sono solo un danno – sociale, economico, psicologico – per le singole professioniste, ma di fatto sono sia uno strumento per mantenere lo status quo nelle redazioni, spesso dominate da uomini, che un modo per impedire alle donne di dare voce ad altre donne. Ragionare sulla dimensione sistemica del fenomeno ci permette di demolire la narrazione del “caso isolato” o della “mela marcia”: gli individui agiscono all’interno di un sistema e questo sistema li legittima a comportarsi come si comportano.

Una parte dei casi avviene davanti ad altri colleghi che non intervengono. Perché, secondo te, l’omertà è così radicata nel nostro settore? È paura, convenienza, normalizzazione… o cos’altro?

Le molestie sessuali, gli abusi di potere e le discriminazioni di genere sono fenomeni che vengono fin troppo spesso sottovalutati e normalizzati: si pensa che “il mondo del giornalismo funzioni così”. Il mondo del giornalismo non può e non deve funzionare così. E la chiave per cambiare le cose passa da una presa di coscienza individuale, ma soprattutto collettiva, che molte persone non fanno per paura di mettere in discussione i propri privilegi o modificare una situazione in cui, tutto sommato, si trovano a loro agio.

Quando parlate dell’impatto delle molestie sulla qualità dell’informazione, a cosa vi riferite in concreto? Qual è la conseguenza più sottovalutata, quella che il pubblico non vede ma che pesa di più sul lavoro di una giornalista?

L’esclusione sistematica delle giornaliste attraverso molestie, abusi e discriminazioni ha conseguenze profonde: senza potere sulle scelte editoriali, l’agenda mediatica resta dominata da una prospettiva maschile, che spesso ignora o distorce alcuni temi. Uno squilibrio che è evidente anche per chi guarda la televisione, ascolta la radio e legge i giornali: solo il 35% della popolazione italiana ritiene che i media trattino le tematiche di genere in modo adeguato (Fonte: Osservatorio sul giornalismo, edizione 2020). Un sistema che quindi non solo penalizza le professioniste del settore, ma impoverisce l’intero panorama informativo, compromettendo la qualità e il pluralismo dell’informazione, in un Paese che negli ultimi due anni è già sceso dal 41º al 49º posto per la libertà di stampa nel mondo (Fonte: Reporter Senza Frontiere, 2025).

Quali sono i prossimi passi?

Siamo al lavoro per realizzare una seconda parte dell’inchiesta, concentrandoci sulle molestie sessuali, le discriminazioni di genere e gli abusi di potere che avvengono nelle redazioni. Per questo, abbiamo creato un questionario ad hoc dove giornaliste assunte, freelance e uffici stampa possono condividere in forma anonima la propria testimonianza.

In futuro, vogliamo continuare a fare giornalismo d’inchiesta di qualità e soprattutto vogliamo un giornalismo libero da molestie sessuali, discriminazioni di genere e abusi di potere, dove l’informazione sia davvero plurale e inclusiva e le giornaliste che hanno subito le conseguenze di questo sistema non si sentano più sole.

Immagine di Francesco Caroli

Francesco Caroli

Francesco Caroli, nato a Taranto, ha iniziato a scrivere di musica e cultura per blog e testate online nel 2017. È autore per le riviste cartacee musicali L'Olifante e SMMAG! e caporedattore per IlNewyorkese. Nel 2023 ha pubblicato il saggio "Il mutamento delle subculture, dai teddy boy alla scena trap" per la casa editrice milanese Meltemi.

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