Francesco Costabile torna al cinema con Familia, un film che scava nel punto in cui una storia individuale smette di essere “solo” privata e diventa un tema collettivo. La pellicola, tratta dall’autobiografia Non sarà sempre così di Luigi Celeste, che nel 2008 uccise il padre per difendere la madre e per questo condannato a nove anni di reclusione, è stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar del 2026 come “miglior film internazionale”. Lo abbiamo intervistato a New York, durante l’Italy on Screen Today festival.
Quando secondo te la storia smette di essere un fatto privato e diventa un tema universale che riguarda tutti?
Credo che tutte le storie siano private pubbliche allo stesso tempo. I nostri vissuti, se si vive veramente, hanno sempre una narrazione pubblica. Certo, alcune storie, come quella di Luigi Celeste, così tragica e drammatica, assumono un valore plurimo perché la storia di Luigi è la storia di tanti bambini che hanno subito abusi durante la propria infanzia. E Luigi ha avuto il coraggio e la forza di esporsi, prima attraverso un libro e poi attraverso un film. È importante perché il racconto, la narrazione che spesso viene fatta anche nella cronaca nera, è una narrazione piatta, superficiale, fredda. Molto fredda. Invece la narrazione di chi ha vissuto in prima persona queste storie è una narrazione empatica, personale e, insieme, universale.
Tra le prime proiezioni che hai già fatto negli Stati Uniti, qual è la reazione del pubblico americano che ti ha maggiormente sorpreso?
Dicevo prima che, mentre in Italia sono abituato a parlare con delle platee di persone, di ragazzi, di donne e uomini già dentro questo argomento perché se ne parla tanto in Italia, qui meno. Qui c’è l’urgenza e il desiderio di parlarne, ma non sono proprio abituati a discutere, a parlare di violenza di genere. Questa è la grande differenza.

Se dovessi parlare a un americano e dirgli perché vedere questo film è importante, cosa diresti?
Per un americano, come per qualsiasi altra persona, questo film è importante per fare un’esperienza, perché credo che il cinema è un’arte esperienziale: ci permette di vivere un’esperienza. E attraverso questo film è possibile conoscere la violenza, viverla da dentro e acquisire una consapevolezza. È importante, soprattutto quando si parla di violenza psicologica, rendersi conto che a volte siamo delle vittime inconsapevoli. Tante persone si sono avvicinate dicendomi che questo film in qualche modo gli ha aperto gli occhi anche su esperienze passate che in qualche modo, in forma diversa, l’hanno avvicinate alla storia degli uomini.
Quando hai iniziato a fare regista, la possibilità di andare agli Oscar era realizzabile?
No! Non l’ho mai immaginato, sognato, e poi mi è arrivata questa notizia totalmente inaspettata qualche mese fa. Ed è molto bello perché sono stato catapultato in questo mondo senza aspettative, e questo mi aiuta a godermi il momento… Sai, è il secondo film, poi avevo anche tanti competitor importanti, quindi no, non l’ho mai pensato.




