Diego Righini: «Il ponte sullo Stretto sarà un’opera buona e giusta, come l’Autostrada del Sole e l’Alta Velocità»

Il manager romano, esperto di infrastrutture ed energia, spiega i numeri reali del progetto del ponte di Messina, le criticità burocratiche e le prospettive economiche e turistiche di un’infrastruttura destinata a cambiare la mobilità italiana. Dalla geotermia al cinema sociale, il racconto di un professionista che unisce impresa, cultura e visione del futuro

Manager nel campo delle infrastrutture e dell’energia, promotore culturale e ideatore del Festival del Sorriso, Diego Righini è intervenuto ai microfoni de ilNewyorkese nel podcast Ritratti raccontando il suo percorso professionale e la sua visione sul ponte sullo Stretto di Messina, una delle opere più discusse e simboliche della storia recente italiana.

«Sono nato nelle istituzioni, avendo  lavorato da giovane come segretario particolare del vicepresidente della Camera, Publio Fiori. È stata una palestra straordinaria per capire i meccanismi della politica e dell’amministrazione». Da lì il passaggio al mondo imprenditoriale, con una carriera costruita tra cantieri ferroviari e autostradali: «Negli ultimi quindici anni mi sono dedicato alla geotermia, una fonte energetica pulita che sfrutta il calore della terra, ma anche al cinema sociale con il Festival del Sorriso, dedicato alla diversità e all’inclusione».

Al centro dell’intervista, l’opera che più divide e affascina il Paese: il ponte sullo Stretto di Messina. Righini ne ha spiegato i contorni tecnici e numerici con la competenza di chi conosce il mondo delle grandi infrastrutture: «Il ponte sarà il più lungo d’Europa, quasi quattro chilometri, e collegherà Villa San Giovanni a Messina. Costerà circa 13 miliardi e mezzo di euro, ospiterà tre corsie per senso di marcia e due binari ferroviari al centro».

Una struttura imponente, alta 399 metri, che secondo Righini «unirà definitivamente la Sicilia al resto d’Italia, completando la continuità territoriale del Paese». Ma non solo: «Sarà anche un simbolo del turismo internazionale, una meta come il Golden Gate Bridge o il Tower Bridge. Un’opera che rappresenterà il genio ingegneristico e la visione dell’Italia».

Il dibattito italiano, tuttavia, resta acceso e spesso ideologico. Righini ne ha denunciato la natura ciclica: «Ogni grande opera in Italia nasce tra polemiche e diffidenze. È accaduto con l’Autostrada del Sole, quando molti ne mettevano in dubbio l’utilità. Oggi nessuno lo farebbe. Lo stesso è avvenuto con l’Alta Velocità: all’inizio c’erano solo binari unici e treni che si aspettavano in stazione. Poi, con quattro binari dedicati, la mobilità è cambiata per sempre».

Per questo Righini afferma con convinzione che «il ponte sullo Stretto sarà un’opera buona e giusta, come lo furono l’Autostrada del Sole e l’Alta Velocità».

Sul piano amministrativo, il manager romano ha chiarito la situazione dopo il rinvio della Corte dei Conti, che ha chiesto integrazioni documentali. «Non si tratta di una bocciatura del progetto», ha precisato. «L’80-90% della documentazione è completa. Serve solo integrare un 10% di materiale amministrativo. Sono semplici completamenti tecnici, che la società “Ponte sullo Stretto di Messina”, guidata dall’amministratore dottor Ciucci e dai suoi tecnici, può produrre in tempi brevi. Una volta completata la documentazione, il CIPES può riapprovare la delibera e la Corte dei Conti dare il via libera definitivo».

Due, secondo lui, le strade possibili: «Una è quella istituzionale, che completa gli atti e rafforza la legittimità del progetto. L’altra, più rapida ma rischiosa, è un intervento del Consiglio dei Ministri che autorizzi direttamente l’avvio dei lavori».

Righini non ha dubbi su quale sia la via più saggia: «Meglio aspettare qualche mese e avere un progetto inattaccabile. Completare i profili di legittimità tutela da eventuali ricorsi e rende l’opera più solida anche sul piano politico».

I tempi, comunque, non sembrano lontani: «Se si scegliesse la via rapida, si potrebbe partire già a febbraio; con la procedura completa, ad aprile. In ogni caso, sei anni dopo la posa della prima pietra il ponte sarà percorribile. Immagino già nel 2032. Non è un sogno, è un traguardo concreto».

Ma perché un progetto come questo dovrebbe interessare anche il pubblico internazionale e gli italo-americani? «Perché rappresenta l’Italia che costruisce, innova e guarda avanti. Gli americani hanno sempre amato le grandi opere simboliche, e la comunità italo-americana continua a sentirsi parte della nostra storia. Inoltre, diverse aziende statunitensi parteciperanno alla costruzione del ponte: sarà un autentico ponte anche economico tra i due Paesi».

Da qui la proposta di presentare il progetto alla National Italian American Foundation: «Sarebbe bello raccontarlo come un atto di fiducia nel futuro dell’Italia».

Nel dialogo con ilNewyorkese, emerge il ritratto di un professionista che crede nella forza delle infrastrutture come leva di sviluppo, ma anche nella cultura come forma di coesione sociale: «Ogni mia attività, dall’impresa alla cultura, nasce dalla stessa idea: creare ponti, non solo di cemento ma di valori. Grazie a voi del ilNewyorkese per l’opportunità di raccontare un progetto che riguarda tutti: italiani, italo-americani e cittadini del mondo».

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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