Bambini anestetizzati: il silenzio degli schermi e l’urgenza educativa degli adulti

Il cambiamento deve partire da noi genitori ed educatori: torniamo a essere guide presenti, non spettatori distratti. Spegniamo lo schermo, accendiamo il dialogo. Offriamo ascolto, tempo, gioco e relazione. E soprattutto, formiamoci. Perché non possiamo permetterci di crescere bambini anestetizzati

Un bambino piange. Un capriccio in un supermercato, un momento di noia al ristorante, una crisi davanti a un compito difficile. Il genitore, sfinito o semplicemente distratto, estrae lo smartphone: cartoni, app, video su YouTube. Il silenzio cala. Il problema sembra risolto. Ma cosa succede davvero dietro quello schermo?

Negli ultimi anni, genitori ed educatori si trovano di fronte a una questione sempre più urgente: la gestione del tempo digitale dei minori. Il Fatto Quotidiano ha recentemente riportato i risultati di un’importante ricerca pubblicata sulla rivista Psychological Bulletin e condotta dall’Australian Catholic University, che ha monitorato quasi 300mila bambini in tutto il mondo. Un’indagine che lancia un vero e proprio allarme su come i dispositivi stiano rimodellando – e forse compromettendo – lo sviluppo emotivo e relazionale dei più piccoli.

Secondo lo studio, “il tempo trascorso davanti a uno schermo non solo causa problemi emotivi e comportamentali nei bambini, ma diventa anche il loro meccanismo di difesa ‘preferito’ quando sono in difficoltà”. In altre parole, il digitale non è solo la causa del malessere, ma anche il rifugio in cui quel malessere si nasconde, creando un pericoloso circolo vizioso.

La ricerca ha analizzato dati provenienti da 117 studi internazionali, osservando i soggetti per periodi che andavano dai sei mesi a diversi anni. I risultati sono chiari: “L’uso degli schermi può aumentare il rischio che i bambini sviluppino problemi socio-emotivi, e i bambini con problemi socio-emotivi potrebbero essere attratti dagli schermi, forse come un modo per gestire il loro disagio”.

I videogiochi, in particolare, sono stati identificati come il principale fattore di rischio: “I bambini che giocavano ai videogame avevano una probabilità significativamente maggiore di sviluppare difficoltà emotive e comportamentali in futuro”. Ma ciò che preoccupa di più è che proprio i soggetti già fragili risultano “ancora più attratti dai videogiochi rispetto ad altre attività che coinvolgono uno schermo”.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono i piccolissimi (0-5 anni) i più esposti, ma i bambini dai 6 ai 10 anni, che godono di maggiore autonomia e possibilità di scelta. “Un bambino di 7 anni può cercare attivamente giochi o video quando si sente turbato, arrabbiato o ansioso”, si legge nello studio. Le differenze di genere non sono da sottovalutare: “Le bambine hanno mostrato reazioni negative più marcate all’uso degli schermi”, mentre i maschi, soprattutto nella fascia più alta, sono più soggetti alla dipendenza da videogiochi.

Nel mio libro Figli delle App ho affrontato proprio questi temi, evidenziando come la tecnologia non sia affatto un fattore neutrale e come l’iperconnessione stia modificando in profondità i processi educativi e relazionali. Molto spesso consideriamo erroneamente l’ambiente digitale come uno spazio sicuro per default, e diamo per scontato che i cosiddetti “nativi digitali” comprendano appieno il mondo in cui sono immersi solo perché ci sono nati. Ma non è così.

La realtà è che molti adulti non hanno ancora acquisito gli strumenti per educare a un uso consapevole delle tecnologie. Siamo in piena “società mediatizzata”, dove i bambini vengono spesso lasciati da soli davanti a un dispositivo che, come un moderno “ciuccio digitale”, li calma senza però aiutarli davvero a crescere.

Il professor Michael Noetel, uno degli autori dello studio, avverte: “Abbiamo scoperto che un tempo maggiore trascorso davanti agli schermi può portare a problemi emotivi e comportamentali, e i bambini con questi problemi spesso si rivolgono agli schermi per sopravvivere”. La sua collega, Roberta Vasconcellos, sottolinea l’urgenza di un “approccio articolato alla gestione del tempo che i bambini trascorrono davanti agli schermi”.

In qualità di sociologo, da anni auspico la creazione di una vera e propria Scuola per Genitori. Non per demonizzare la tecnologia, ma per promuoverne un uso sano e consapevole. Dobbiamo accompagnare i nostri figli nella crescita anche all’interno del mondo digitale, offrendo esperienze significative sul piano emotivo, relazionale e fisico.

Il cambiamento deve partire da noi adulti: torniamo a essere guide presenti, non spettatori distratti. Spegniamo lo schermo, accendiamo il dialogo. Offriamo ascolto, tempo, gioco e relazione. E soprattutto, formiamoci. Perché non possiamo permetterci di crescere bambini anestetizzati.

Immagine di Francesco Pira

Francesco Pira

Professore Associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, insegna Comunicazione Strategica, Teorie e Tecniche del Giornalismo Digitale e Giornalismo Sportivo, Social Media e Comunicazione d’Impresa, presso i corsi di laurea magistrale e triennale del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina. A marzo 2024 è stato nominato Presidente della branch Comunicazione Media e Informazione dii Confassociazioni, di cui era stato Vice Presidente e dal giugno 2020 è Presidente anche dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News. Il quotidiano italiano Avvenire l’ha definito uno dei maggiori analisti italiani del fenomeno Fake News.

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