In piedi di fronte al nuovo Papa, colpisce subito la sua capacità di creare un clima familiare, quasi intimo, in pochi secondi. Parlando della pace, priorità assoluta di questo pontificato, ha citato le parole di Madre Cabrini: «Comincia la missione e i mezzi arriveranno». Un invito all’azione che, ha detto, vale per chi costruisce la pace come per chi intraprende qualunque opera di bene: non bisogna attendere di avere tutto, bisogna iniziare.
Abbiamo parlato di Francesca Cabrini, santa di origini lombarde e prima cittadina statunitense proclamata tale dalla Chiesa. Mi ha ricordato che Papa Leone XIII la inviò in America per occuparsi delle migliaia di italiani che cercavano fortuna oltreoceano e che il suo lavoro – scuole, ospedali, orfanotrofi – è ancora oggi vivo e presente. Abbiamo discusso anche del film che, qui in America, ha emozionato milioni di immigrati di tutto il mondo, del suo valore ispirazionale e, soprattutto, della forza della figura che racconta.
Quando ho chiesto più informazioni, mi ha raccontato delle sue origini italoamericane, di come sia cresciuto tra Chicago e le storie dei nonni siciliani arrivati negli Stati Uniti all’inizio del Novecento. Radici intrecciate con quelle della comunità creola di New Orleans, che gli hanno trasmesso fin da bambino il valore della dignità e del rispetto per ogni persona. «Ho visto da vicino cosa significa cercare un futuro lontano da casa e quanto conti trovare qualcuno che ti accolga», mi ha detto.
Gli ho raccontato del progetto attorno a ilNewyorkese, nato per dare voce e rappresentanza alla folta comunità di italiani negli Stati Uniti. Mi ha emozionato vedere il suo interesse mentre spiegavo che quella comunità racconta, in fondo, la storia stessa dell’immigrazione americana. Gli ho donato una maglia da basket, simbolo degli eventi che organizziamo per unire sport e comunità, e mi ha ascoltato con curiosità mentre descrivevo come questi momenti diventino occasioni per incontrarsi, dialogare e costruire legami reali.
Nel corso della nostra chiacchierata abbiamo ritrovato una visione comune sul valore ispirazionale della comunità italoamericana, che rappresenta molto più di un insieme di persone legate da origini comuni: è la testimonianza vivente di cosa significhino sacrificio, resilienza e capacità di reinventarsi. Ogni famiglia porta con sé storie di partenze dolorose, lavori umili e notti insonni per garantire un futuro migliore ai figli. È una comunità che ha saputo conservare le proprie radici senza chiudersi in esse, integrandosi e contribuendo in modo decisivo alla crescita culturale, economica e sociale degli Stati Uniti. Sapere che, per il Pontefice, l’Italia America Reputation Lab – la fondazione che guida molte delle nostre iniziative culturali e istituzionali – possa essere un punto di riferimento per il suo pontificato negli Stati Uniti, ha dato valore ai sacrifici di questi due anni, rafforzando il percorso che stiamo compiendo, nel quale mi ha chiesto di essere “un ponte vivo tra due mondi, testimoniando valori di famiglia, lavoro e fede”.
Mi ha lasciato la sensazione che il legame tra Italia e America non sia solo una memoria del passato, ma una risorsa concreta per affrontare il presente. E che proprio da queste radici possa nascere una speranza capace di parlare a tutti.