Trump va in Paradiso


Voglio andare in Paradiso. Potrebbe essere la fase estrema di quello che tutti definiscono il supernarcisismo di Trump. La massima aspirazione, dando a quel termine, Paradiso, non solo una connotazione spirituale, ma anche il senso metaforico di chi guarda in alto, ai grandi obiettivi.

Il Presidente americano vuole mettersi sul petto la medaglia della pace in Ucraina, il Presidente americano vuole mettere in bacheca il Premio Nobel per la pace. Io ne ho già scritto qui sul Newyorkese più volte e sempre con grande libertà e soprattutto scevro dai pregiudizi e dagli snobismi del mainstream correct che ormai, in Occidente, è più globalizzato dello scambio delle merci. Soprattutto rivendico l’interpretazione onesta, di buon senso, di quello che e’ accaduto in Alaska. Niente trionfalismi ma neanche quel nichilismo giornalistico che predica la pace come platonismo ideologico.

Insomma, o è come dico io o non se ne fa niente. La presunta vittoria dell’arroganza di Putin è invece, ancora in queste ore, la vittoria dell’immensa pazienza di Trump, che fregandosene delle liturgie agostane non ha perso tempo e ha convocato a Washington i leader europei tra cui il Premier italiano Giorgia Meloni ( gli altri: Merz, Starmer, Macron. Stubb e poi Von der Leyen e Rutte), ha convocato Zelensky, la sua diplomazia sta brigando con Mosca per organizzare il famoso, e si spera, decisivo trilaterale: Stati Uniti, Russia, Ucraina.

Le liti, le distanze, i disaccordi sono ancora tanti, dal luogo, alla tregua, ai territori. Però, con tutta onestà, si era mai arrivati a questo punto da quel tragico febbraio del 2022? Dopo l’Alaska quasi tutti gli analisti erano concordi nel dire che Putin era stato sdoganato a costo zero , che era uscito dall’isolazionismo mondiale su un tappeto rosso e senza fare concessioni. Noi eravamo in disaccordo, secondo noi al contrario lo Zar era stato riaccolto in un complesso sistema diplomatico da cui non sarebbe più potuto uscire gratis.

Tutto, anche in negativo, può ancora succedere. Noi siamo ottimisti, vogliamo essere ottimisti. Se il linguaggio della geopolitica fallirà e parleranno allora solo le armi, a quel punto Trump dovrà rinunciare al Paradiso, ma Putin andrà sicuramente all’inferno.      

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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