Lo Stroll Club non dovrebbe far notizia, e invece sì

Un gruppo di padri che si ritrova nei parchi di Brooklyn con i passeggini per parlare di figli, fatica e solitudine: qualcosa che dovrebbe essere normale, ma che sorprende ancora

Che un gruppo di padri si ritrovi in un parco a Brooklyn per parlare di pannolini, crisi di pianto, sveglie notturne e senso di inadeguatezza non dovrebbe sorprendere nessuno. E invece eccoci qui. Lo Stroll Club, nato per iniziativa di Joe Gonzales, è diventato un piccolo caso mediatico: papà che si incontrano nei parchi con i passeggini per condividere esperienze, paure, stanchezze. E la notizia è proprio questa: che tutto ciò faccia notizia.

Gonzales, produttore e neogenitore latino-americano, ha postato su TikTok un video in cui chiedeva semplicemente dove potessero incontrarsi i papà della sua zona. Nessuna pretesa di viralità, solo la voglia di non sentirsi solo. Nonostante la risposta del pubblico, tra migliaia di commenti e centinaia di migliaia di visualizzazioni, un punto di ritrovo reale si è scoperto non ci fosse. Così ha deciso di crearne uno lui stesso. Si è presentato al McCarren Park con il suo passeggino e ha invitato altri padri a unirsi. In venti hanno raccolto l’invito. Da lì, passeggiate settimanali, chiacchiere, ascolto e una community online che è cresciuta fino a includere anche gruppi nati in altre città americane.

A ben vedere, la portata dell’iniziativa sta tutta nella sua ovvietà. Non si tratta di ribaltare i ruoli, né di rivendicare medaglie al merito per chi cambia pannolini. Si tratta piuttosto di sottrarre la figura paterna al cliché del padre distante, goffo o disinteressato. L’idea che un uomo possa sentire il bisogno di confronto emotivo sulla genitorialità, e che possa trovarlo al di fuori del perimetro familiare, è ancora meno scontata di quanto si pensi. Non perché manchino i padri coinvolti, ma perché mancano i luoghi in cui quel coinvolgimento possa esistere senza essere guardato con stupore.

La tradizione culturale, negli Stati Uniti come altrove, ha lungamente relegato la paternità a una funzione economica e formativa, più che affettiva e relazionale. In molte lingue, il lessico stesso suggerisce questa distanza: un padre che trascorre del tempo con i propri è più assimilabile ad un babysitter che ad un genitore; nei manuali per neogenitori o nelle pubblicità dei prodotti per l’infanzia, l’uso del maschile è eccezionale: “anche i papà possono usarlo!”. E se oggi le cose stanno cambiando, la lentezza con cui certi automatismi resistono è evidente: basta pensare a quanto sia raro vedere padri rappresentati nei media come interlocutori emotivi, capaci di insicurezza e tenerezza, senza dover per forza essere supereroi o caricature.

Che lo Stroll Club abbia avuto così tanto risalto dimostra quanto ci sia ancora da fare per rendere normale ciò che dovrebbe esserlo già. Pian piano si arriva in un mondo dove si accetta finalmente che la cura dei figli non sia un affare “da donne”: non è la storia di un’inversione di ruoli, ma di una parità che comincia con una passeggiata al parco.

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