Delle tante cose straordinarie che abbiamo visto, sentito e vissuto oggi, giorno dei funerali di Papa Francesco, ci rimarrà un’antologia di immagini. E di queste una in particolare che farà la Storia, quella di Trump e Zelenski uno davanti all’altro su due piccole sedie dentro la Basilica di San Pietro poco prima dell’inizio delle esequie.
A margine, si dice in genere nelle cronache ufficiali dei grandi eventi ufficiali. Questo però è un margine che tira dentro tutto l’insieme e si rovescia con una centralità tutt’altro che marginale sulla platea del mondo che dà l’addio a un Papa che nella morte è diventato ancora di più un gigante.
Non conta neanche forse più di tanto quello che si sono detti i due leader, che avevamo già analizzato nel reality anche lì planetario della Casa Bianca. Un reality che fu una terribile zuffa. Oggi nella commozione della morte del Pontefice della Pace, altri toni. Toni costruttivi, dicono le delegazioni, incontro che prosegue in aeroporto, sottolineano le diplomazie.
Passo in avanti, dicono, in una trattativa per la tregua prima e la pace dopo, molto complessa. Soprattutto per il leader di Kiev, messo all’angolo dall’alleato americano. Ma al di là del significato in senso geopolitico stretto, un’immagine vale in sé. Lì dice un signore, io, che ha guidato macchine televisive gigantesche su episodi importanti come appunto le morti dei Papi.
Un’immagine non denota solo (contesto e cronaca) ma connota (simbolo, emozioni, senso e significati inconsci). Quell’immagine sul piano connotativo ci dice che Francesco, anche nel momento del suo ultimo viaggio terreno, lascia un’eredità importante: l’impegno per la Pace, che passa dal dialogo, dall’incontro che si fa confronto.
E Roma ancora una volta, per un giorno o anche solo per poche ore, è tornata caput mundi. Roma capoccia di un mondo speriamo meno infame, per dirla con il capolavoro del romano Venditti.