Stefano Boeri ha un modo pacato di raccontare le sue architetture, ma non serve molta retorica per capire quanto il Bosco Verticale, dieci anni dopo la sua inaugurazione a Milano, abbia cambiato il modo di guardare alle città. Durante l’evento organizzato nella cornice di un affollato Rizzoli Bookstore, alla presenza del Console Generale Fabrizio Di Michele, Boeri ha presentato Bosco Verticale – Morphology of a Vertical Forest, il volume edito da Rizzoli che celebra il primo decennale del progetto. Il Bosco Verticale, inaugurato nel 2014 a Milano, è diventato negli anni un simbolo internazionale dell’architettura verde, ma anche un oggetto di affezione popolare, come ha raccontato durante questa intervista. «Ci sono i bambini che scrivono lettere, che disegnano plastici nelle scuole. È come se fosse un’architettura viva». Un edificio che stimola «quella piccola dimensione di follia e mistero che può sollecitare la fantasia». Infatti, a breve farà da giurato a un concorso per pittori delle scuole primarie dedicato proprio alla sua creazione.
Non è un caso che la presentazione del libro a New York abbia richiamato un pubblico così ampio, fatto non solo di addetti ai lavori, ma anche di curiosi, studenti e cittadini. La sala era piena. «Ci si sente a casa qui», racconta Boeri con un sorriso. «New York è una città che cambia, ha momenti diversi nella sua storia, ma rimane sempre fedele a sé stessa». Lui ci viene spesso, dice, da quando aveva dodici anni, ma questa volta ha percepito qualcosa in più. «Mi piacerebbe poter dire che stiamo lavorando a un Bosco Verticale anche qui. Non è ancora così, ma sarebbe meraviglioso». Intanto, si accontenta di osservare una città che, pur senza un bosco verticale, è diventata uno dei laboratori più vivaci al mondo sul tema delle smart cities.
Ed è proprio questo il punto da cui riparte la sua riflessione. Per Boeri, il concetto di città intelligente non coincide con la semplice applicazione di tecnologie avanzate o di soluzioni green. Serve un pensiero più largo, che tenga insieme ambiente, società e giustizia. «Se togli l’auto privata a chi vive in quartieri privi di trasporti pubblici, riduci l’inquinamento, ma crei una diseguaglianza enorme». La vera sfida, insiste, è quella di non lasciare nessuno indietro. «Le città devono affrontare la transizione ecologica senza penalizzare chi soffre già. Altrimenti rischiamo di portare vantaggi a chi ha già molto, e svantaggi a chi ha poco». Un tema, quello delle disuguaglianze, che è centrale anche in molti dei progetti in corso del suo studio, a Milano come nel resto del mondo.
Del resto, sono proprio le città ad avere la maggiore responsabilità sul cambiamento climatico. «Il 75% della CO2 che alimenta il riscaldamento globale viene prodotto dai centri urbani», spiega Boeri. E sono sempre le città a subirne le conseguenze più gravi, dagli eventi meteorologici estremi all’innalzamento del livello delle acque. «Ma proprio per questo devono diventare protagoniste del cambiamento. Hanno le capacità, le risorse e la concentrazione di idee per guidare questa trasformazione». E se Milano con il Bosco Verticale ha aperto la strada, molte altre metropoli stanno cercando di capire come replicarne l’efficacia, adattandola alle proprie esigenze.
Boeri però non si limita a ragionare sulla sostenibilità in astratto. Durante l’intervista, si sofferma anche su luoghi e memorie personali che raccontano il suo legame con la città. «Washington Square è un posto dove torno sempre, mio fratello studiava alla NYU e abbiamo vissuto lì per un po’». Poi cita il Guggenheim, che considera «magico, unico, difficile». Infine, si sofferma su un tema meno noto ma a lui caro: l’edilizia sociale di New York. «Ci sono quartieri costruiti negli anni ’50 e ’60 che ancora oggi resistono. Sono straordinari. Quando dirigevo la rivista Urbanistica, abbiamo studiato molto queste realtà. E trovarle ancora vive, nonostante tutto, è impressionante».
Lo studio Stefano Boeri Architetti è attualmente impegnato in molti progetti, alcuni dei quali riprendono il modello del Bosco Verticale, ma non solo. Il progetto forse più affascinante è in Nepal, vicino a Lumbini, il luogo di nascita di Buddha. «Stiamo realizzando un grande centro per la comunità buddhista nepalese, dove hanno scoperto esserci una delle reliquie di Buddha». Un’esperienza che Boeri descrive come toccante: «Abbiamo incontrato venticinque scuole buddhiste, c’erano cinquemila persone. È un progetto che ci ha coinvolto profondamente, sia sul piano umano che professionale».
E mentre l’architettura continua a confrontarsi con le sfide del futuro, Boeri sembra convinto che la strada tracciata dal Bosco Verticale sia solo l’inizio. «La natura deve tornare ad abitare gli spazi concepiti per l’uomo», dice. Non si tratta di estetica o di moda, ma di una necessità concreta, che riguarda l’ambiente, la salute, la qualità della vita. E anche, forse, quella capacità di stupirsi che i bambini delle scuole, con i loro disegni, continuano a ricordargli ogni giorno.