Mauro Porcini: il sogno americano nel mondo del design e dell’innovazione

Mauro Porcini ha 47 anni e, da più di dieci, lavora come Chief design officer per PepsiCo, la multinazionale americana famosa per la Pepsi, ma anche per le patatine Lay’s, il Gatorade o la 7Up. Pluripremiato designer formatosi al Politecnico di Milano, Porcini è tra i più apprezzati innovatori in campo internazionale, inanellando riconoscenze di anno in anno: dall’inserimento tra le “40 under 40” stelle emergenti del Business, lista stilata dalla rivista Fortune nel 2012, fino alla nomina di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia da parte del Presidente Mattarella nel 2019. Lo abbiamo intervistato per IlNewyorkese.

Ciao Mauro: tu hai da poco più di un anno scritto e pubblicato un libro, “The Human Side of Innovation”, a brevissima distanza poi dal tuo altro saggio, questo in italiano, “L’età dell’eccellenza”. Posso chiederti com’è andata e perché hai sentito l’esigenza di tuffarti in una nuova avventura editoriale?

Il libro è andato bene, sia quello italiano che quello americano. Questo è un libro che ho scritto per me stesso, sì, ma l’ho scritto anche pensando ad un ipotetico figlio – mia figlia non era stata ancora concepita -. L’ho fatto pensando a tutto ciò che ho imparato: mi sono guardato indietro e ho capito che se qualcuno mi avesse detto quando avevo dieci, venti o trent’anni, alcune delle cose scritte qui, sarebbe stato meglio per me, sarebbe stato più facile.

Subito dopo i figli però vengono le nuove generazioni, che hanno un potere pazzesco: quello di cambiare e ridisegnare il mondo – ma bisogna aiutarli ad usarlo. Il sottotitolo della versione inglese di questo libro è: “The power of people in love with people”. E lì si riassume tutto il contenuto del libro.

Ci sono tre tipi di amore: l’amore per le persone che si servono, quello per il proprio lavoro e quello per le persone che ci circondano. Il primo consiste nel creare prodotti, servizi e brand non tanto per creare valore economico per la propria azienda ma per le persone, nella convinzione che quando ciò accade allora automaticamente si creerà valore anche per l’azienda. Il secondo è la passione: ciò che ti dà l’energia di andare avanti e superare le difficoltà, arrivando a traguardi importanti in qualsiasi campo. Il terzo è coadiuvato dall’empatia, dalla gentilezza, dal voler portare gli altri con sé.
Il valore umano del team messo di fronte a tutto, la cura verso chi ci circonda. Nel mondo del business queste persone sono i colleghi, i partner. Un messaggio molto diverso rispetto a quello che ascoltiamo riferito a questo mondo: si sente spesso di squali, di furbi, la gentilezza è vista come una debolezza, una vulnerabilità, e creare questo tipo di cultura cambiando questi paradigmi crea un’efficienza pazzesca, genera fiducia, supporto, qualcosa di fondamentale e che per me ha creato un valore pazzesco in questi anni. È la nostra arma vincente.

Che spazio c’è oggi, nel 2024, per le aziende o start-up italiane in un mercato americano fortemente inflazionato?

Per le aziende italiane, di vario genere, penso ci siano sempre delle opportunità laddove si porta un vantaggio competitivo reale. La prima opportunità nasce dal capire cosa manca nel panorama americano, nell’industria di rifornimento, nella categoria di prodotto, e cercare poi di portare qualcosa di unico.
Un esempio per me lampante – anche se può essere superficiale, se vogliamo – è l’assenza di una componente estetica importante nelle aziende, il famoso design dei prodotti, la loro bellezza. Spesso, in tantissime industrie, manca completamente. Io negli anni ho visto tantissime startup che sono diventate aziende importanti. Un esempio è Method, nell’ambito dei detersivi: hanno puntato molto su tutta una serie di valori come la sostenibilità ma, soprattutto, sull’estetica, la bellezza del packaging, dell’oggetto, riscuotendo un clamoroso successo. Cito la bellezza perché è ovvio per gli italiani: siamo la patria della bellezza, del design, portare questo punto di vista cercando di capire la profondità del mercato americano può essere sicuramente una fonte d’opportunità.
C’è un’altra cosa considerare: la cultura ed i processi americani sono unici, quindi per gli italiani che vengono in America è molto importante cercare di capire in modo profondo come funzionano.
Questo lo si può fare in due modi: alleandosi con italiani che sono in America già da anni e che capiscono la cultura perché è parte di loro, oppure alleandosi con degli americani, che sono in grado di creare un dialogo con la cultura italiana ben consapevoli però dei propri meccanismi e dei propri business model. Io invece ho spesso visto tante realtà italiane avere successo in Italia e, con arroganza, venire in America pensando di replicare in modo facile quel successo e fallire miseramente nell’arco di poco tempo. Bisogna avere sicurezza ma anche umiltà e rispetto per una cultura diversa, in questo caso quella americana.

Esiste una ricetta della creatività?

La creatività è la capacità di immaginarsi un futuro migliore, una soluzione migliore rispetto a quella odierna. È un atto di grande ottimismo. Ed è uno sforzo di immaginazione che si reifica in un qualcosa, in azione, nella capacità di creare – da lì l’etimologia della parola. È intuizione che si trasforma in azione.
Spesso si pensa che arrivi con un colpo di genialità, dalla pancia, ma è il risultato di esperienze, l’output di una grande curiosità che ci spinge a cambiare prospettiva, leggere, parlare con chi ha punti di vista diversi dai nostri, cambiare mindset e mettersi in gioco. Tutto questo si assorbe, entra nel nostro sistema, e quando ci troviamo davanti ad un progetto o un problema da risolvere scatta quello che poi è il nostro bagaglio culturale, sfociando nell’atto creativo.

Quali sono tre posti di New York che ti hanno fatto innamorare?

Uno è sicuramente Seaport, l’area dove abito: è il vecchio porto di New York, e c’è un sacco di vita: localini, ristoranti, tutto sul mare. Un posto che consiglio. Un altro, anche se non è proprio in città, è l’Oasi degli Hamptons, che merita di essere visitata per la sua natura travolgente, al di là del glamour associato alla zona. Il terzo, può essere una banalità, ma visto che è appena passato Natale e non l’avevo visitato prima lo menziono, è Dycker Heights, a Brooklyn, quel posto dove ci sono tutte le luminarie di Natale, un villaggio incantato, pazzesco, un’esperienza magica che non ho mai visto in altri posti.

E invece i tre consigli per chi insegue il sogno americano?

Consapevolezza di sé e di quello che si porta in America ma grande rispetto ed umiltà nell’approcciarsi alla cultura americana. Bisogna imparare i punti di forza dell’americanità, cercando di individuarne le debolezze per importare qualcosa che crei valore, ma va comunque fatto con umiltà. Questo è il primo. Il secondo è pensare in grande. Uno dei nostri problemi è non avere il coraggio di sognare in grande. Gli americani lo fanno. Tante volte ho sentito investitori interagire con realtà italiane ed il feedback è che l’ambizione è troppo ridotta. Il terzo è avere una grandissima curiosità. Si lega al primo, ma bisogna avere curiosità di imparare dall’America, cercando di capire come interfacciarsi con questa realtà in modo comprensibile per l’audience americano.

Davide Ippolito

Davide Ippolito

Esperto di Reputazione, editore, regista e produttore per Amazon Prime Video. Fondatore di Reputation Research e di LuckyHorn Entertainment. Autore di "Against Stereotypes. The real Reputation of Italian American" e altri libri sulla Reputazione, è anche opinionista per l’emittente televisiva La7.

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