Media evo
Nel 2005 Robert K. Kaplan scriveva un saggio importante e profetico, titolato Media Evo, nel quale definiva un potere assoluto quello assunto dai media mainstream di quegli anni (pensiamo a CNN e alla globalizzazione del web), paragonabile solo al papato medievale. Mentre i politici diventano sempre più deboli, per i giornalisti avviene, secondo Kaplan, il contrario: grandi inquisitori in grado, con un paio di articoli, di distruggere carriere politiche o minare la credibilità dell’esercito americano. Oggi le cose sono in parte cambiate, con la pandemia e la guerra in Ucraina: il giornalismo si è unito in parte alla politica, ne è diventato fanfara, non solo becchino. Un’informazione ossessiva e terrorista sul Covid ha favorito il proliferare di scetticismi su malattia e vaccini, allontanando la gente dai media mainstream. All’uscita di Media Evo, invece, i media erano reduci dalla demolizione di Bill Clinton, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Non esisteva il ritorno della tirannia classica, come nella recente Russia di Putin, ma solo quella mediatica “che non è elettiva, non è controllabile, passa da un linciaggio all’altro… Non può essere mai nel torto perché la sua causa è quella dei deboli e oppressi, e sta qui il suo potere di opprimere”. Cosa è successo in seguito tra potere e media globali?
Nel 2021 a Hong Kong è stato rimosso il monumento dedicato alla strage di Stato compiuta in piazza Tienanmen a Pechino nel 1989. Gli studenti di Hong Kong ormai non combattono più: sono privi di microfoni e di spazi liberi, come gli uiguri dello Xinjiang e i tibetani. Siamo nel 2022 ma rimane la follia di Re Lear. Tutte le forme di potere, quelle “hard” russe o nordcoreane, quelle “intermedie” cinesi, quelle “soft” occidentali, sono avvolte in un campo semiotico di comunicazione, persino nella materialissima guerra di Ucraina, condotta con uomini aerei, navi e carri armati.
In Occidente news e narrazioni (cinema, tv, social) sono diventate un unicum, come i poemi cavallereschi per Don Chisciotte: le web-masse (anche la tv di oggi è web) sono subissate da micronarrazioni ripetute h24 e replicate nei post o nella residua comunicazione interpersonale. La produzione di segni è universale, ma sempre più priva di re e imperatori visibili. Putin è l’incubo del dominio, terrorismo di Stato di un vampiro destinato a sparire, si spera presto.
E le masse determinano il successo o lo sterminio di una serie o di un film, libere ma tuttavia soggiogate a un “pensare comune” che determina gusti individuali, comportamenti sociali e scelte politiche. Nell’iperflusso di immagini e parole è difficile capire se le informazioni siano governate o soggette a forme di autorepressione e uniformazione ai vettori di notizie e fiction.
Google Glass
I Google Glass sono un dispositivo di realtà aumentata che ha la forma di un paio di occhiali. Con i GG è possibile visualizzare informazioni come sugli smartphone, senza usare le mani. Sono parte della computazione ubiqua, un modello di interazione uomo-macchina legato alle attività di tutti i giorni. Scrive Pietro Montani in Tecnologie della sensibilità (Raffaello Cortina, 2014): “{Si tratta di] uno schermo insieme opaco e trasparente… in grado di caricarsi di tutte le prestazioni di uno sguardo incarnato, con l’aggiunta di un’inedita facoltà di notazione, o scrittura, delle cose… [Ci troviamo quindi di fronte alla] figura di un uomo-con-macchina-da-presa-incarnata”.
Nella comunicazione dei media “indipendenti e mainstream” non esistono soltanto cookies commerciali. Ci sono anche “cookies” fatti di parole o meme che si richiamano al “bene collettivo” e al politicamente corretto, e in virtù di ciò possono omologare e orientare la web-massa. È lo stesso meccanismo di cui parlava Kaplan in Media Evo.
Perché in Europa non nascono big player nel campo dei nuovi media?
Tassazione alta e iper-regolamentazione sono un ostacolo per ogni startupper. In Europa inoltre l’economia è sottoposta al controllo di governi centralisti e statalisti. Nel 2006 sulla rivista Aspenia si parlava di Quaero, il motore di ricerca europeo che avrebbe dovuto superare o almeno affiancare Google. Ad annunciarne la nascita in pompa magna erano i governi francese e tedesco. L’allora presidente Jacques Chirac parlava di “far fronte alla sfida globale dei giganti americani Yahoo e Google [per] difendere strenuamente la diversità culturale mondiale dalla crescente minaccia di uniformità”. Dov’è finita Quaero? Perché in Europa il sistema soffoca coloro che vorrebbero sfuggire ai monopoli e diventare big player? Aveva ragione Vladimir Bukovskij quando sosteneva che, persino nel nome, l’UE targata socialdemocrazia tedesca ricalcò difetti e problemi dell’Unione Sovietica?
La fabbrica dell’omologazione
L’omologazione è un lubrificante del potere. La sua prima azione avviene con la scuola. Scrive Yuval Noah Harari in “Homo Deus, breve storia del futuro” (Bompiani, 2018) “[Nel XIX e XX secolo] le scuole furono edificate per formare cittadini capaci e obbedienti che avrebbero servito la nazione con lealtà. A diciotto anni, i giovani non dovevano essere soltanto patriottici ma anche istruiti. (…)”.
La scuola pubblica e di massa realizzata negli anni ’60 ha perso la capacità di istruire, come ricordano Luca Ricolfi e Paola Mastrocola ne “Il danno scolastico, la scuola progressista come macchina di diseguaglianza”. Prima della riforma si usciva dalle medie con una competenza linguistica simile a quella universitaria attuale, grazie allo studio non fittizio delle materie, incluso il latino che è una materia scientifica per eccellenza, perché educa al ragionamento complesso. La media unificata invece ha scelto di abbassare il livello qualitativo dell’insegnamento. “Attività alternative”, studenti disinnamorati del sapere, interrogazioni ed esami trasformati in fiction. Mentre la scuola si faceva mass media, il percorso scolastico diventava ottimale solo per le famiglie che potevano provvedere pagando lezioni di sostegno suppletivo.
Anche la rivolta giovanile degli anni ’60 esaltava una cultura pop, ma solo nelle università americane si emancipò dalla politica esistente, con le comuni agricole, la rivoluzione sessuale, la liberazione della donna.
In Europa il movimento si polarizzò in due gabbie: quella terrorista di destra e sinistra e quella dei partiti, inclusi i gruppi a essi collegati, “estremisti” nell’urlare, ma senza indirizzi concreti. L’omologazione delle masse si svolgeva lungo tre direttrici: scuola, media radiotelevisivi, controinformazione.
Ma il problema invece è proprio avere gli strumenti per decodificare. Come diceva Paolo di Tarso “Ciò che si vede proviene da ciò che non si vede”, e ogni messaggio – al di là delle parole– ha una parte segreta e codificata.
La cancel culture
Cancellare i monumenti è assurdo: la Storia resta, anche se si fanno sparire i segni che vorrebbero eternarla. Non a caso viviamo in un’era in cui l’arte è effimera come un’aurora boreale. La pop art l’aveva già capito con Andy Warhol, mentre David Bowie cantava “we can be heroes, just for one day”. Tuttavia, l’Italia è il Paese delle Belle Arti e persino per gli stolidi attivisti della Cancel culture è difficile abbattere le opere di Michelangelo. Il nostro rischio è un altro: vivere cristallizzati come in un negozio di antiquariato o in un museo, come custodi che ricevono turisti estasiati – per un istante – di trovarsi di fronte a un quadro di Raffaello. Questa è la situazione delle nostre città, mentre le zone balneari o di montagna, vittime di gentrificazione turistica, sono snaturate per sempre.
Come rispondere al nuovo ribellismo, che ha la forma di una valvola sociale di sfogo priva di prospettive? Si è liberi solo restando in una gabbia dove ci si può muovere nella forma di una anarchia vaga che non costruisce nulla. Il modello sociale per le minoranze rumorose è quello del calcio allo stadio, dove tutto è permesso a patto di non fare casino altrove.
Chi riuscirà invece a impostare i canoni di una nuova democrazia, adatta ai colossali cambiamenti e alle macerie dei primi venti anni del 2000?
I tre doni della lettura
Quando leggiamo diventiamo come la troupe di un film: ci raffiguriamo i volti dei personaggi e ricostruiamo la scenografia, le città, il mare… Creando immagini mentali proprie della storia, aumentiamo la nostra autonomia.
Prendiamo un film come Il dottor Zivago. Quando lo guardi la tua mente riceve passivamente la pellicola che scorre. Ma se leggi il romanzo di Pasternak a 15 anni il cervello fa un lavoro mostruoso: ricrea volti, suoni e voci. Per questo motivo leggere è amplificare la propria intelligenza.
La lettura crea dubbi che mettono in crisi le nostre certezze. Ci dà un terzo grande dono, la formazione di una coscienza. Se non abbiamo aperto le porte del dialogo interiore, avremo meno dubbi e problemi. Ma faremo la strada con qualcosa in meno.
Le immagini sono ipnotiche?
Guardate la serie Netflix “Inventando Anna”, in cui una poverissima ragazza comune tedesca nata in Russia, non bella ma molto scaltra nell’apprendere comportamenti e culture, si costruisce una falsa vita fingendosi una ricca e colta ereditiera e diventando la regina dei salotti dei miliardari più importanti di New York.
La picnolessia è una forma di narcosi che colpisce i bambini quando restano “imbambolati”. È indotta anche dal guardare dal finestrino mentre si va in auto o in treno. Nella società delle immagini tutto scorre veloce. Ma non c’è più solo l’illusione del movimento di 25 immagini al secondo. Sono più veloci anche le trame. Un film rispetto a un romanzo contiene almeno un 50% di informazioni di meno, perché la trama è ridotta all’essenziale. Prendete i video musicali: ogni inquadratura dura al massimo 3 secondi. La videomusic ha cambiato tutto. Confrontiamo la lentezza dei film di 50 anni fa alla velocità nei cambi di ripresa oggi.
Barry Lindon di Stanley Kubrick scorre lento ma ha immagini incredibili, le riprese replicano i quadri di Constable e dei vedutisti/paesaggisti: ogni sequenza è un quadro vivente. Kubrick fa un’impresa pazzesca.
La lentezza permette di meditare e cercare un contenuto. Il cinema si basa in buona parte sulla ipnosi, come sostiene nei suoi studi Ruggero Eugeni, docente di Semiotica dei media. E’ un’ipnosi benefica, i problemi sono nati quando cinema, letteratura e news sono diventati una cosa sola.
È strano che nella Società della Comunicazione la semiotica, cioè la scienza che studia ogni forma di linguaggio, non sia materia di studio obbligatoria dalle elementari all’università.
Invece agli studenti non viene suggerito di dire e di dirsi, non li si educa a scrivere storie con la penna e la vita. Ridurre la capacità di leggere e scrivere blocca la capacità di costruire sentieri nuovi e liberi dall’uniformità. Le regole della vita e del pensiero non sono file pronti al download! O si formano dal basso o sono Metaverso, cioè realtà irreale.