Nella città che non dorme mai, dove grattacieli e luci intense nascondono vite invisibili, la violenza domestica continua a colpire le comunità immigrate – in particolare le donne il cui visto dipende dal partner abusante. Per queste donne, andarsene è complicato, pericoloso e spesso impossibile. Il Comites di New York, Comitato degli Italiani all’Estero, ha deciso di affrontare direttamente il problema. Grazie a una donazione privata, l’organizzazione ha avviato rapidamente un’iniziativa pubblica: nell’arco di due settimane, ha realizzato due importanti eventi, offrendo un supporto immediato a persone che vivono ancora sotto abuso. Una terza sessione è già prevista nei prossimi mesi.
I due incontri consecutivi hanno portato il tema al centro dell’attenzione della comunità italiana e internazionale. Sono stati scelti volutamente luoghi non istituzionali e facilmente accessibili, per abbattere barriere di vergogna, giudizio e paura: ostacoli che spesso impediscono alle donne di chiedere aiuto. La strategia si è rivelata efficace: le partecipanti si sono sentite libere di ascoltare, fare domande e informarsi su un problema personale ma profondamente sociale. Gli esperti hanno offerto strumenti pratici e risorse immediate.
Il finanziamento privato ha permesso interventi rapidi in situazioni particolarmente gravi: donne senza indipendenza economica, senza sostegno familiare negli Stati Uniti e con un visto legato all’abusante. Il presidente del Comites Enrico Zanon ha sottolineato l’impatto della donazione:
«Sono davvero lieto che il Comites abbia riconosciuto la necessità di affrontare un tema come questo. E sono molto grato al donatore: senza fondi, questo programma sarebbe stato molto più complesso».
L’importanza di alleati uomini nella lotta è stata evidenziata da Claudia Carbone, presidente della Commissione Diritti Civili: «Avere uomini come alleati nella lotta contro la violenza domestica è essenziale, perché questa battaglia non può essere portata avanti solo dalle donne. Richiede un cambiamento culturale condiviso, insegnando a bambini e bambine cosa sia un amore sano, basato su rispetto, confini e reciprocità».
Le serate sono state moderate dalla giornalista televisiva Francesca Di Matteo, che ha aperto il dibattito con una domanda tratta da un libro per bambini — «Che cos’è l’amore?» — per sottolineare l’importanza della prevenzione fin dall’infanzia. Un videomessaggio di Albina Perri, direttrice del magazine Giallo, ha illustrato il drammatico numero dei femminicidi in Italia, evidenziando «la necessità di pene adeguate, l’urgenza delle denunce e l’importanza di smantellare una cultura che minimizza la violenza maschile, spesso accettata come norma sociale».
Uno dei momenti più intensi è stato la lettura di una lettera anonima scritta da una donna italiana immigrata, vittima di un narcisista patologico e sola in un paese straniero, che ha descritto con lucidità manipolazioni, paura, abuso e silenzio.
Sono seguiti numerosi contributi di esperti e rappresentanti istituzionali: Alessandra Sabbatini, Licensed Clinical Social Worker e terapeuta familiare, ha illustrato le diverse forme di violenza domestica, gli effetti sui bambini e il ruolo complesso dei media. Leide Porcu, antropologa e psicoterapeuta, ha analizzato le radici culturali dell’abuso — dalla mascolinità tossica alla socializzazione patriarcale — sottolineando la vulnerabilità delle famiglie immigrate, aggravata da stress migratorio, isolamento e instabilità economica. Jenny A. Proano, del New York Mayor’s Office to End Domestic and Gender-Based Violence (ENDGBV), ha presentato gli strumenti istituzionali di protezione: i Family Justice Centers (accessibili indipendentemente dallo status legale), la HOPE Hotline e Respect First, un programma dedicato alle persone che hanno commesso violenze. «È importante lavorare con l’abusante affinché non faccia del male ad altre donne», ha detto. Francesca Carelli, Master Certified Life & Career Coach, ha condiviso la propria esperienza nel riconoscere l’abuso emotivo, spiegando le dinamiche culturali che portano molte donne a normalizzare comportamenti violenti, offrendo strumenti pratici per ricostruire identità e autostima. La serata si è conclusa con la poetessa e scrittrice María Isabel Dicent, che con le sue letture ha trasformato il peso emotivo dell’evento in un momento di riflessione collettiva.
L’iniziativa era iniziata con l’evento “Breaking the Silence: Empowering Voices, Inspiring Change”, anch’esso moderato da Di Matteo, con la partecipazione di: Jessica Earle Gargan, giudice della Queens Supreme Criminal Court; Daniela Castro, COO alla Lenox Hill Neighborhood House; Sara Martinez, Senior Economic Empowerment Specialist presso Sanctuary for Families.
Il panel includeva video-testimonianze di donne che vivono attualmente situazioni di abuso e un’analisi approfondita dei programmi di protezione. Martinez ha illustrato il programma di Economic Empowerment, che aiuta le donne a recuperare stabilità e indipendenza attraverso formazione professionale. Castro ha descritto il ruolo dei rifugi e dell’assistenza informata al trauma. La giudice Gargan ha raccontato casi complessi, compresi episodi in cui, per paura o minacce, le donne hanno testimoniato a favore del proprio abusante, ribadendo la necessità di richiedere ordini di protezione ai primi segnali e di segnalare comportamenti sospetti alle autorità.
Il messaggio finale, affidato a Francesca Di Matteo, ha lasciato un segno profondo:
«Le madri delle generazioni passate dicevano: “Sono rimasta per i miei figli.” Le madri delle nuove generazioni dicono: “Sono andata via per i miei figli.”»
Il Comites ha annunciato che il programma continuerà nei prossimi mesi con nuovi incontri e strumenti di supporto, con l’obiettivo di garantire che nessun immigrato a New York si senta solo. E per ricordare che, a volte, una singola donazione non finanzia solo un evento: finanzia una via d’uscita, un nuovo inizio, una vita salvata.