L’osservatorio nazionale di Non Una di Meno

Ovvero dell’importanza dei dati oggettivi per la costruzione di una contronarrazione sulla violenza di genere

L’Osservatorio Nazionale Femminicidi Lesbicidi Transcidi (FLT) di Non Una di Meno nasce dall’urgenza di costruire una contronarrazione che affronti il tema della violenza di genere in modo alternativo. In un Paese in cui media, giornali e istituzioni tendono ancora a ridurre i femminicidi a raptus inspiegabili, gesti estremi di amore o di follia, il movimento transfemminista opta per un approccio rivoluzionario: ritornare a numeri e statistiche oggettive. Creare una banca dati sistematicamente aggiornata e liberamente accessibile non significa semplicemente registrare delle informazioni, ma compiere il primo passo verso la costruzione di un dispositivo narrativo che smascheri la violenza di genere come un fenomeno strutturale del sistema patriarcale in cui viviamo.

Da dove nasce?

L’Osservatorio rappresenta uno dei più importanti strumenti di lotta di Non Una di Meno, il movimento transfemminista nato in Italia nel 2016 — parte del più ampio network internazionale Ni Una Menos, sorto sull’onda delle proteste scatenate in Argentina dal femminicidio di Chiara Paez nel giugno del 2015. Come in America Latina, anche in Italia si tratta di un movimento orizzontale, partecipato e diffuso capillarmente a livello territoriale, che costruisce pratiche politiche condivise attraverso assemblee, scioperi femministi globali, manifestazioni e pratiche di riappropriazione degli spazi a ricordo delle vittime di violenza di genere. Riunisce attiviste, collettivi, centri antiviolenza e realtà sociali impegnate nel contrasto alla violenza di genere e nella costruzione di un immaginario capace di scardinare quello patriarcale.

Cos’è l’Osservatorio?

È uno spazio collettivo, militante e indipendente che monitora, raccoglie, elabora e restituisce informazioni su femminicidi, lesbicidi, transcidi e, in generale, su tutti gli omicidi riconducibili a relazioni di potere e violenza patriarcale. Non opera come un ente istituzionale, ma è il frutto dell’intenso lavoro di singole attiviste, ricercatrici e giornaliste che costruiscono insieme un osservatorio dal basso, fatto di cura, rigore e responsabilità politica. La sua forza sta proprio in questa natura plurale: è un progetto aperto, vivo, che si alimenta del lavoro dei territori e delle associazioni locali di Non Una Di Meno.

Cosa fa l’Osservatorio?

 

Innanzitutto, raccoglie dati oggettivi — nomi, date, contesti, relazioni tra vittime e aggressori, modalità della violenza—, ma non si riduce a riportare meri numeri. I dati servono a misurare il fenomeno, comprenderne le caratteristiche, monitorarne l’evoluzione e individuare strumenti di prevenzione. Per questo motivo l’Osservatorio affianca ai numeri un’analisi critica dell’informazione mediatica, smontando narrazioni tossiche che normalizzano o occultano la dimensione strutturale della violenza. In tal modo, costruisce un linguaggio alternativo che restituisce dignità alle vittime e responsabilità agli autori, evitando la spettacolarizzazione delle storie.

Come funziona concretamente?

In Italia alcuni dati sui femminicidi sono forniti dal Ministero dell’Interno e dall’ISTAT, ma sono spesso parziali, compilati con metodologie non uniformi, dunque, insufficienti a monitorare il fenomeno. L’Osservatorio di Non Una di Meno nasce per colmare queste lacune. Il suo metodo si basa su alcuni criteri chiari: raccolta sistematica delle informazioni da fonti pubbliche e giornalistiche; verifica e confronto dei dati attraverso il lavoro condiviso di più persone; aggiornamenti costanti, con cronologie che vengono riviste e integrate progressivamente; attenzione alla correttezza linguistica e alla profondità contestuale.  L’Osservatorio non si limita a contare: interpreta, collega, rende visibile ciò che altrimenti resterebbe frammentato. Nel fare questo, tiene conto di molte variabili, che vengono discusse in momenti collettivi: informazioni anagrafiche di base, condizioni personali e familiari delle vittime, cause della morte, uso di armi da fuoco, interrelazione tra genere, età, nazionalità, condizioni di salute e benessere fisico e/o mentale delle vittime e delle persone colpevoli o presunte tali, riflettendo così anche sulla mancanza di sistemi di cura e assistenza adeguati.

Perché tutto questo è così importante? 

In un tempo in cui la violenza di genere travolge quotidianamente il dibattito pubblico assumendo i tratti di un destino fatale ineluttabile, l’Osservatorio mostra invece che esiste un filo rosso, che lega tutte queste storie di violenza e uccisione: il patriarcato. Come ha scritto Donata Columbro in Perché contare i femminicidi è un atto politico (2024), si tratta di un “lavoro di raccolta di controdati”, una sorta di “lavoro di monitoraggio dal basso” che fronteggia l’inadeguatezza dei dati istituzionali, offrendo strumenti per la comprensione e la creazione di un nuovo linguaggio. Scegliere di ripartire dai dati significa scegliere di guardare la realtà oggettiva, per costruire un discorso collettivo capace di generare cambiamento. È un atto di responsabilità politica e un gesto di solidarietà verso chi non può più parlare. Un gesto che diventa, giorno dopo giorno, una pratica di trasformazione.

Immagine di Elena Albanese

Elena Albanese

Classe 1995, romana di nascita, expat nello spirito. È quasi dottoressa di ricerca in Filosofia politica, traduttrice e insegnante… ma sa bene che, in questa vita o nella prossima, sarà un’attrice teatrale di successo o, magari, una cantante di flamenco. Scrive di filosofia, letteratura, arte e società. Ascolta senza sosta musica, podcast, storie e aneddoti — preferibilmente al bar, davanti a un buon caffè.

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