In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne torniamo a sottolineare l’importanza del progetto portato avanti da Gloria Peritore con il suo staff.
Peritore è una delle atlete italiane più vincenti della sua generazione, tre volte campionessa mondiale di kickboxing e oggi campionessa europea di boxe EBU. Ma è soprattutto una voce nitida, dolce ma determinata allo stesso tempo, che usa lo sport come strumento di consapevolezza, di guarigione e di libertà.
“Un’ombra racconta sempre di una luce”
Nell’intervista rilasciata a ilDetroiter, Gloria ha spiegato il significato del suo soprannome, The Shadow: «Mi è stato dato dopo un match a St. Louis: mi definivano imprendibile, come un’ombra. Mi piace molto perché riflette il mio carattere. Sono introversa, ma ho imparato a stare sotto i riflettori». Aggiungendo poi una frase che è quasi una dichiarazione poetica e allo stesso tempo un manifesto programmatico: «Un’ombra racconta sempre di una luce».
La sua luce, da qualche anno a questa parte, Gloria ha deciso di puntarla sulla violenza che non si vede, quella che si insinua nelle relazioni, nelle parole, nelle etichette. Una violenza che lei stessa ha conosciuto.
Gloria Peritore ha raccontato come tutto sia iniziato dopo aver parlato pubblicamente di una relazione tossica. L’esposizione mediatica aveva generato narrazioni che non le appartenevano: «Mi invitavano a parlare come “vittima sopravvissuta” o, peggio, come insegnante di autodifesa contro il genere maschile. Non era il mio messaggio».
Così è nato The Shadow Project, insieme allo sportello di ascolto e alla campagna #FIGHTTHEVIOLENCE: un progetto che ribalta completamente il modo in cui spesso si racconta la violenza negli sport da combattimento, spostando l’attenzione dal ring, dove va in scena l’agonismo con regole d’ingaggio ben chiare e condivise dagli atleti, alla vera violenza, che nasce e si sviluppa fuori:
«La vera violenza è quella che nega la libertà altrui e questo avviene fuori dal ring. Noi fighters accettiamo liberamente il rischio di andare al tappeto. È solo una questione di prospettive». Una prospettiva che riporta il discorso sulla violenza laddove davvero inizia: nella relazione con sé stessi, nella possibilità di esprimersi, nel diritto di respirare.

La doppia battaglia delle donne che combattono
Nell’intervista, Peritore ha sottolineato anche il tema dei pregiudizi, che impattano ancora di più su una donna che pratica sport da combattimento, e che rappresentano l’altra faccia della violenza di genere: «Una donna che combatte lo fa due volte: una sul ring e una contro gli stereotipi». E questi stereotipi non sono un fastidio marginale: possono diventare corrosivi. Anche questo è un tipo di violenza. Anche questo riguarda la libertà.
Eppure il ring, paradossalmente, è spesso un luogo più libero della realtà: «In palestra non accade. Uomini e donne sono sullo stesso piano».
Lo sport come cura, non come arma
Gloria ha una formazione da life coach e considera la kickboxing e la boxe strumenti di consapevolezza, non di aggressività. «Le discipline da combattimento insegnano a incanalare l’aggressività in modo costruttivo. Non voglio dire che bisogna diventare campioni. Voglio dire: provate uno sport che preveda un confronto diretto. Vi aiuterà a scoprire parti di voi».
È un messaggio che smonta, con semplicità, l’idea che la forza fisica sia la risposta alla violenza. La risposta, dice Gloria, è capire se stessi, osservare le proprie paure, riconoscerle e imparare a starci dentro senza farsi schiacciare.
The Shadow Project ha già messo piede negli Stati Uniti, passando da Filadelfia e arrivando fino a Detroit, ma Gloria ci ha confidato di sognare di più: «New York era il mio sogno. In due mesi ci sono stata due volte. Ti offre di tutto: se sei confuso, vai lì e ti schiarisci le idee…»

Perché raccontare questa storia oggi
Nel racconto di Gloria Peritore la violenza non è un destino, non è un’etichetta né tanto meno un ruolo da interpretare. È un nodo da sciogliere, un confine da tracciare.
Il suo esempio mostra che si può combattere sul ring e promuovere allo stesso tempo un messaggio contro la violenza, perché affrontare le proprie paure è il primo passo verso la reale emancipazione, che passa dalla fiducia in sé. Si può stare nell’ombra e continuare comunque a generare luce.
In un momento dell’anno in cui l’attenzione torna — spesso purtroppo solo per poche ore — sulla violenza contro le donne, la voce di Gloria ci ricorda che la prevenzione passa anche dal cambiare il linguaggio e dal riscrivere le narrazioni.
Non servono eroine: servono persone che sappiano guardarsi dentro, e che portino agli altri una storia autentica.
E l’ombra, se capita, può diventare un luogo di guarigione.