Lunedì di Pasquetta avrebbero dovuto giocarsi 4 partite di serie A, valevoli per la 33ma giornata: Parma-Juventus, Cagliari-Fiorentina, Torino-Udinese e Genoa-Lazio. In mattinata la notizia della morte del Papa ha portato alla decisione della Lega di rinviare tutte le gare in programma, per rispetto del cordoglio “nazionale”, in un paese civilmente laico ma culturalmente ancora profondamente cristiano. Questo ha portato alla necessità di “incastrare” i recuperi in un calendario fitto di impegni, senza finire per falsare il campionato in corso, ancora aperto sia nella lotta scudetto che nelle lotte valevoli per le posizioni europee e per la salvezza.
Si è scelto, dunque, di recuperare le partite rinviate sabato nella giornata di oggi, mercoledì 23 aprile, tutte in concomitanza alle 18.30, per non andare in contrasto con la suggestiva e importante semifinale di ritorno di Coppa Italia tra Inter e Milan, in programma alle 21. Non è tutto. I funerali del Papa, in programma sabato, hanno costretto a Lega a rivedere anche il calendario degli anticipi della prossima giornata di campionato, la 34ma, che prevedeva per la giornata di sabato 26 aprile Como-Genoa alle 15, Inter-Roma alle 18 e Lazio-Parma alle 20.45.
Su invito del Presidente del Coni Giovanni Malagò, che ha recepito le indicazioni contenute nel DPCM di ieri, martedì 22 aprile, è stato disposto di sospendere non solo il calcio ma ogni evento sportivo in programma sabato 26 aprile, in occasione delle esequie del Pontefice. Le partite in programma sabato, dunque, si giocheranno tra domenica e lunedì: Como-Genoa si giocherà domenica alle 12.30, Inter-Roma alle 18 mentre Lazio-Parma si giocherà lunedì alle 20.45.
Fin qui la cronaca, vale a dire la ricostruzione fedele e cronologica dei fatti. Non solo mancate, tuttavia, le polemiche.
La Lazio ha emesso un comunicato durissimo contro la Lega Calcio per criticare la gestione della criticità, soprattutto in riferimento alla tempistica, ritenendosi danneggiata da un punto di vista logistico. L’Inter si è, in un primo momento, ribellata al rinvio a domenica del match contro la Roma, visto l’imminente impegno europeo in semifinale di Champions, salvo poi fare marcia indietro e accettare la decisione della Lega.
In tanti hanno evidenziato come, in un paese laico con una Costituzione che sancisce, tra le altre, la libertà di culto religioso, non sia né giustificato né corretto trattare la morte del Papa alla stregua di un lutto “nazionale”. Il dibattito è acceso da due giorni e riecheggia attraverso i mezzi di comunicazione, da quelli tradizionali ai social: in una situazione così profondamente polarizzata è certamente difficile trovare un compromesso, scorgere una “ragione” perché di ragioni ce ne sono almeno due. La “ragione” intesa, dal punto di vista semantico, come la “facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni” (Treccani) è diversa dal concetto di “avere ragione” contrapposto, nel linguaggio comune, all’avere “torto”.
La “ragione” può aiutarci a capire chi “ha ragione”? No. Perché non sono pacifici e condivisi i punti di partenza del dibattito e, dunque, lo sviluppo stesso della discussione prende strade diverse, inconciliabili.
Il nostro è uno stato laico: vero. Il nostro paese è storicamente legato a doppio filo con la religione cristiana, tanto da ospitare lo Stato pontificio: vero. La libertà di culto promossa dalla Costituzione, e la necessità di non discriminare alcun altro culto, non si conciliano bene con la proclamazione di un lutto nazionale in occasione della scomparsa del Papa, dato che lo stesso non avviene in occasione della scomparsa delle figure apicali di altri culti religiosi: vero. Le festività legate al Natale e alla Pasqua, dunque a due eventi religiosi cristiani, vengono comunemente accettate (e gradite) dalla società civile italiana, anche quella dichiaratamente laica: vero. In buona sostanza, chi oggi rivendica la laicità totale del paese poi però non è mai “sceso in piazza” per rivendicare la necessità di abolire le festività religiose che lo fanno stare a casa invece che andare a lavoro: incontrovertibile.
Potrei andare avanti ma il discorso è già sufficientemente chiaro: non esiste una “ragione” oggettiva. Mischiando il sacro al profano possiamo analizzare che questa polemica nasce perché, culturalmente, innesca una “commistione di fedi”: la fede religiosa e la fede calcistica. Il calcio, in Italia, è da più di un secolo una “religione laica” per milioni di persone, con la sua ritualità, i suoi idoli (da idolatrare) e i suoi “fedeli”. Togliere il calcio in nome di un’altra religione, sia pure quella più diffusa, storicamente e culturalmente, crea contrasto. E, dunque, tante polemiche.