La quinta giornata di Serie A ha visto la caduta del Napoli di Conte, battuto di misura, a San Siro, dal Milan. Si tratta della seconda sconfitta stagionale per i partenopei, la prima in campionato, dove la squadra di Conte era, fino a domenica sera, l’unica ancora a punteggio pieno.
Se in Champions, sul campo del City, il KO era arrivato anche a causa della precoce inferiorità numerica degli azzurri, a Milano la sconfitta è arrivata nonostante il Napoli abbia giocato in superiorità numerica per oltre mezz’ora, nella ripresa.
Il rigore, con espulsione annessa di Estupian, a 30 minuti più recupero dalla fine, sembrava destinato a cambiare la storia di un match, fino a quel momento dominato dal Milan di Allegri, grazie soprattutto ad un ispiratissimo Pulisic.
Invece i rossoneri hanno avuto il merito di compattarsi in un blocco basso, anzi bassissimo, senza concedere spazi agli avversari. La sofferenza è stata tanta, perché il Napoli ha un tasso tecnico alto e una forte identità di squadra, ma questo ha reso solo più bello il successo.
Il Napoli non ne esce ridimensionato, perché comunque ha saputo reagire ad un avvio di gara tremendo e avrebbe probabilmente meritato il pareggio.
Oltretutto le tante assenze nel reparto difensivo rappresentano un alibi convincente per giustificare i troppi passaggi a vuoto della retroguardia partenopea. Con i titolari in campo, da Rahmani a Buongiorno, la squadra di Conte sarà certamente destinata a tornare ad essere una delle migliori difese del campionato e in attacco le bocche de fuoco sono tante.
Piuttosto la domanda è se il Milan di Allegri, che nonostante i detrattori “giochisti” è uno dei pochi allenatori (con Mourinho e Conte) che è in grado di stravolgere in poco tempo la mentalità di una squadra, è già in grado di competere per lo scudetto.
La mia risposta è Si. I rossoneri non hanno le Coppe e, potendo preparare una sola gara a settimana, potrebbero diventare quello che è stato il Napoli di Conte la scorsa stagione, ovvero la squadra rivelazione.
Gli ingredienti ci sono tutti: squadra costruita bene, con il giusto mix di esperienza e gioventù, tanta tecnica ma anche tanta gamba, rosa lunga e, soprattutto, Allegri in panchina.
Aggiungete alla lista anche la voce “solidità difensiva”: dopo la prima gara con la Cremonese il Milan ha inanellato 3 clean sheet consecutivi e, contro il Napoli, è capitolato solo su rigore e non si è disunito neanche con l’uomo in meno.
Aggiungerei all’elenco anche la voce “Modric”, che è un centrocampista troppo più forte, anche a 40 anni suonati, di tutti i pari ruolo in Serie A e sembra destinato a diventare, per il Milan di oggi, quello che è stato Pirlo per la Juve di Allegri nel 2014/15, quando guidò i bianconeri al double Campionato-Coppa Italia e alla Finale di Champions League.

E’ vero che all’epoca Pirlo aveva 35 anni, 5 in meno del Modric di oggi, ma è altrettanto vero che le partite saranno meno, non dovendo giocare le Coppe, e poi dietro ha un talento puro come Ricci, già nel giro della Nazionale azzurra, che potrà coprirgli le spalle al meglio nei momenti di fisiologico appannamento.
Resto convinto che il Napoli sia la grande favorita per la vittoria finale, soprattutto se (non me ne vogliano i tifosi) dovesse uscire anzitempo dalla Champions.
Anche se trovo difficile immaginare la squadra di Conte fuori dalle prime 24 nel Girone unico, quindi almeno un turno di spareggio (valevole per i sedicesimi) andrà messo in preventivo.
Dietro la squadra di Conte la favorita per il titolo potrebbe essere proprio il Milan, che oggi vedo davanti all’Inter, non fosse altro per l’esperienza de proprio tecnico, paragonata all’inesperienza di Chivu.
Sono dalla parte di quelli che danno un grande peso all’impatto degli allenatori, pur sapendo benissimo che poi in campo ci vanno i giocatori (mantra dello stesso Allegri da sempre).
Ragion per cui, nella lotta Champions, vedo la Roma di Gasperini davanti all’Atalanta di Juric: perché è troppo più bravo il Maestro dell’allievo, anche se la rosa della Dea, nel complesso, è più completa di quella giallorossa.
A proposito di Roma, la solidità difensiva della squadra di Gasp è spaventosa: solo un gol subito in 5 partite, con 4 clean sheet.
La Roma è la squadra che ha subito meno gol in Europa, considerando tutti i 5 principali campionati europei. Mancini e N’Dicka sono due certezze assolute, nonché punti fermi della squadra, e Hermoso e Celik hanno dimostrato di saper completare alla grande il reparto, schierato stabilmente a 3 dietro.
Inoltre Ziolkowski (che ha esordito ieri all’Olimpico) e Ghilardi rappresentano due giovani di grande talento e di sicuro avvenire che potranno far rifiatare i titolari senza perdere in qualità.
I problemi della Roma, semmai, vengono davanti, dove i giallorossi non hanno trovato sul mercato l’esterno alto a sinistra che voleva il tecnico e devono convivere con le fragilità di Dybala, talento tanto cristallino quanto di cristallo. Però Soulè è in crescita esponenziale.
Il gol di Dovbyk contro il Verona potrebbe aver sbloccato l’ucraino, preferito questa volta a Ferguson: se il gioco di Gasperini dovesse entrare nelle corde del numero 9 la Roma potrebbe aver fatto davvero il colpo dell’estate non cedendolo, anche se la mancata partenza è stata più subita che scelta dal club.

Dovbyk è un attaccante forte, che ha sempre fatto tanti gol in carriera. Ha bisogno delle condizioni giuste per emergere e deve sentire la fiducia addosso per rendere al meglio, ma resto dell’idea che, per valori assoluti, sia più forte di Retegui, che lo scorso anno ha fatto lo stravedere all’Atalanta con Gasp.
La proprietà transitiva nel calcio, come nella vita, non esiste, ma un sillogismo si può pur azzardare: se Dovbyk si dovesse affidare fideisticamente ai dettami di Gasperini, come ha fatto Retegui la scorsa stagione a Bergamo, potrebbe davvero diventare quel crack che la Roma aveva pensato di aver preso la scorsa estate.
E, se così fosse, la Roma sarebbe favorita per il raggiungimento di un posto in Champions.
Favorita anche sulla Juventus di Tudor, che ha una rosa più strutturata e lunga della Roma ma non ha ancora un’identità precisa, sbanda troppo dietro e alterna grandi exploit a passaggi a vuoto inquietanti, anche all’interno della stessa gara.
Tudor è sicuramente un allenatore bravo ma non è un top allenatore: non a caso la Juve aveva deciso, in estate, di puntare tutto sul ritorno di Conte e, una volta incassato in No definitivo del tecnico del Napoli, aveva provato in tutti i modi a soffiare proprio Gasperini alla Roma…