Missione compiuta: Antonio Conte è riuscito nell’impresa di rimettere pienamente in linea di galleggiamento e in rotta scudetto una squadra che, solo poche settimane fa, sembrava svuotata e priva del mordente che l’aveva portata a vincere il titolo la scorsa stagione.
Lo sfogo del tecnico di inizio novembre, dopo la pesante sconfitta di Bologna (“sono preoccupato, dopo l’ultimo scudetto il Napoli è arrivato decimo, non voglio accompagnare un morto…”) ha raggiunto l’obiettivo sperato, tanto che, a distanza di poco più di un mese, la squadra partenopea è tornata al comando della classifica, e l’ha fatto ottenendo vittorie fondamentali in scontri diretti: tre vittorie in fila in Serie A, contro Atalanta, Roma e Juventus, passando dal successo in Champions contro il Qarabag e dal passaggio del turno in Coppa Italia.
La partita di domenica sera contro la Juventus è stata un monologo azzurro: il Napoli ha dominato il gioco, arrivando prima su tutte le “seconde palle”, vincendo i duelli e imponendo il proprio gioco su una Juventus spaesata, che ha ancora ben poco di spallettiano.
Non mi dilungherò sull’analisi tattica della gara, sulla scelta iniziale (infruttuosa) di Spalletti di non mettere un centravanti per non dare riferimenti agli avversari, ma voglio porre l’accento sulle prestazioni individuali che, sommate, sono diventate prestazioni di squadra. Elmas mediano, chiamato in emergenza ad affiancare McTominay, ha risposto alla grande. Højlund ha fatto reparto da solo, come sempre, ma ha anche trovato il feeling con il gol, segnando la doppietta decisiva. Beukema, Rrahmani e Buongiorno si sono confermati difensori straordinari in grado di fare reparto alla grande.
E poi ci sono i “miracoli” del tecnico, Neres e Lang, decisivi con la loro qualità in attacco ma anche (e soprattutto) in grado di dare grande equilibrio alla squadra con la loro abnegazione in fase difensiva. Perché ho parlato di miracoli? L’iperbole è voluta: Neres è sempre stato un talento di sprazzi, giocate, accelerazioni ma anche discontinuità. Non è mai stato un equilibratore per le squadre nelle quali ha giocato. Lang veniva dall’Eredivisie, dove la fase difensiva non è praticamente contemplata, e sembrava impossibile riuscire ad ottenere da lui in tempi brevi una disciplina tattica, soprattutto in fase di non possesso. Invece sono proprio loro due i riferimenti offensivi e al contempo gli equilibratori difensivi che hanno reso possibile la svolta napoletana.
Se oggi il Napoli è tornato ad essere una delle squadre favorite per la vittoria finale il merito è tutto del suo condottiero, Antonio Conte, che ha vinto nettamente il duello con Spalletti e si è levato lo sfizio di battere per l’ennesima volta la sua ex squadra.
A proposito di Spalletti, i fischi assordanti per lui, al momento della presentazione delle squadre, da parte del Maradona mi hanno fatto male: il tecnico di Certaldo ha sicuramente delle spigolosità ed è comprensibile che i tifosi gli rimproverino di aver scelto la Juventus per tornare ad allenare, soprattutto dopo aver dichiarato che non avrebbe allenato altre squadre in Serie A. Detto ciò è stato lui l’uomo della svolta per il Napoli, quello che ha riportato il titolo all’ombra del Vesuvio dopo oltre 30 anni: la cavalcata del suo Napoli nella stagione 2022-23 è stata meravigliosa e la gioia che ha contribuito a portare al popolo azzurro è stata immensa.
È un vero peccato che tanto amore sia stato dilapidato nel giro di così poco tempo, così come era successo a Roma per quell’epilogo, maldestro, con Totti. Il suo kharma sembra destinato a portargli addosso (anche a causa di suoi errori e di scelte rivedibili) l’odio di piazze che lui ha incantato e delle quali è stato un condottiero fiero, in grado di ottenere risultati accontentando anche il gusto estetico.
È anche molto triste vedere un allenatore del suo calibro ridotto a fare il traghettatore di una squadra costruita senza capo né coda da una società ben lontana dall’essere dominante e competente come lo è stata in passato: come ho avuto modo di scrivere anche sabato, la Juventus avrebbe dovuto dare a Spalletti carta bianca per costruire, investendo nella sua competenza e nella sua qualità di uomo di campo, invece lo sta trattando come un allenatore che ha ancora tutto da dimostrare, contrattualizzato fino a fine stagione con la possibile conferma legata solo ai risultati. Nessun progetto. In queste condizioni è difficile far bene ed è quasi impossibile porre le basi per una futura rinascita.




