Il 2024 romanista si era aperto con una cocente sconfitta in un derby di Coppa Italia contro la Lazio: era stato il preludio ad una serie di sfortunati eventi, dall’esonero di Mourinho a quelli di De Rossi prima e di Juric poi. In mezzo tante, troppe delusioni per un popolo, quello romanista, che se con De Rossi aveva vissuto momenti di speranza e risalita, soprattutto in Europa League, con Ivan Juric aveva toccato il baratro dell’inedia e dell’assuefazione alla sconfitta, diventata non più un’opzione ma un’abitudine.
L’arrivo di Claudio Ranieri, tecnico navigato e di comprovata affidabilità, aveva già risistemato in coda al 2024 una situazione diventata da critica a tragicomica, con il baratro della zona retrocessione più vicino delle vette dell’agognata zona Champions. Mancava, tuttavia, l’acuto, la gioia.
Il 2025 romanista si è aperto in maniera diametralmente opposta rispetto al precedente anno solare: ancora di fronte gli eterni rivali della Lazio, ancora un derby, affrontato tra l’altro con l’onta di una classifica che al fischio d’inizio vedeva i biancocelesti a + 15 sui giallorossi. Ma questa volta la musica è cambiata perché a cambiare è stato il direttore d’orchestra: Ranieri ha rimesso, per citare Rudi Garcia, “la Chiesa al centro del villaggio”, facendo quello che sembra riuscirgli più facile e naturale, vale a dire vincendo il derby. Se 3 indizi fanno una prova, come valutare i 5 indizi che arrivano direttamente dallo storico del tecnico? Ranieri ha, infatti, giocato da allenatore della Roma 5 derby vincendo 5 volte, in modi a volte rocamboleschi e impensabili. Nel 2010, per esempio, si era trovato in piena lotta scudetto contro l’imbattibile Inter di Mourinho, la meravigliosa squadra passata poi alla storia per il “triplete”. Partita dopo partita quella Roma era riuscita a recuperare punti e tante tante posizioni portandosi a ridosso dei nerazzurri, fino a batterli anche in un epico scontro diretto allo Stadio Olimpico. Poi era arrivato il derby, con il suo carico di insidie e incognite e, anche se quella era una Lazio che lottava nei bassifondi di una classifica allora balorda, tutti a Roma sapevano che sarebbe stata una battaglia senza esclusioni di colpi, perché tutto il popolo laziale chiedeva alla squadra di riscattare la stagione negativa levando lo scudetto alla rivale cittadina. Il primo tempo aveva confermato i timori romanisti della vigilia, con il gol in apertura di Rocchi che aveva spianato la strada ad un assolo biancoceleste: la Roma, passiva e inerme, era sembrata davvero destinata a soccombere. A inizio ripresa era arrivata la mossa che nessuno si sarebbe mai aspettato: Ranieri aveva fatto all in facendo uscire dal campo Totti e De Rossi, romani e romanisti, simboli della squadra che sentivano troppo il derby e stavano giocando oggettivamente male, per inserire Menez e Taddei, cambiando la veste tattica della squadra. Impensabile ma non impossibile. Il ribaltone, da 0-1 a 2-1, con doppietta di Vucinic e un rigore parato da Julio Sergio a Floccari che aveva reso ancor più epica la serata, aveva tenuto in linea di galleggiamento verso il tricolore la nave romanista, che sarebbe poi affondata sull’iceberg blucerchiato guidato da Cassano e Pazzini, ma questa è un’altra storia. Il derby era stato vinto, nel modo più clamoroso possibile.
Mutuando l’abbrivio di un recente successo Sanremese di Achille Lauro, si può ben dire che Claudio Ranieri ci sia “cascato di nuovo”: questa volta la mossa, impensabile e sorprendente ma altrettanto vincente, ha avuto una matrice addirittura opposta. Il capitano e simbolo della Roma, Lorenzo Pellegrini, romano e romanista in piena crisi, è stato gettato nella mischia dal primo minuto in un derby che nessuno pensava avrebbe potuto e dovuto giocare, figuriamoci da titolare. Questa volta le premesse stesse del match erano opposte rispetto al 2010: la stagione balorda era decisamente quella romanista e le posizioni di vertice erano (e sono tutt’ora) appannaggio della Lazio di Baroni, arrivata con 15 punti di vantaggio allo scontro diretto. Ma ancora una volta il risultato ha dato ragione a Ranieri e alla sua visione: Pellegrini ha giocato una partita straordinaria, impreziosita da un gol meraviglioso in apertura che ha spianato la strada ad un successo che sa di liberazione e rinascita, per il capitano e per la sua ciurma.
Il sugello di Saelemaekers ha chiuso i giochi già al 18’, il resto è stato difesa del risultato e incontenibile gioia finale. La prima gioia del 2025. Se sarà stata la prima di tante, come si augurano i tifosi, sarà il futuro a dircelo. Oggi a sanno di poter contare su una guida illuminata ed ispirata in panchina. Una guida che, quando si tratta di derby, non sbaglia un colpo.
Quanto sia importante il ruolo dell’allenatore nel calcio moderno lo dimostra anche il caso del Napoli, passato in pochi mesi dalla gloria dello Scudetto, vissuto al termine dell’esaltante seconda stagione di Spalletti all’ombra del Vesuvio, alle vicissitudini dello scorso campionato, con le guide sfortunate e inadeguate di Garcia, Mazzarri e Calzona che non sono riusciti a portare i partenopei neanche in Europa. Questa stagione, con l’ingaggio di Antonio Conte, il Napoli è tornato a navigare nelle zone alte della classifica, che più gli competono, chiudendo il girone d’andata da campione d’inverno, anche se questo titolo, fittizio quanto fine a se stesso, è “sporcato” dalle gare da recuperare delle competitors Atalanta e Inter, che potrebbero raggiungere (la Dea) e superare (l’Inter) la squadra di Conte. Ma questi sono conti che si faranno a tempo debito: l’unico conto che conta è quello di Conte. Dietro lo scioglilingua c’è una realtà incontrovertibile, confermata dalla netta vittoria di Lukaku e compagni in casa della Fiorentina: il Napoli sta giocando per il titolo, anche e soprattutto grazie al proprio allenatore.