Il Natale ci fa pensare: religione e adolescenza

Il film d’esordio di Alice Rohrwacher, Corpo Celeste (2011), offre una meditazione senza sconti su fede, identità e appartenenza attraverso gli occhi della tredicenne Marta. Appena rientrata dalla Svizzera nel paese d’origine della madre, in Calabria, Marta viene catapultata in un ambiente definito dall’ortodossia cattolica, dai rituali comunitari e da rigide aspettative di genere. Mentre la macchina da presa di Rohrwacher attraversa appartamenti angusti, aule logore e il paesaggio calabrese in rovina, cattura sia l’intimità soffocante sia l’alienazione della vita di provincia. Questo capitolo esamina le dimensioni teologiche, culturali e cinematografiche di Corpo Celeste, concentrandosi sui sacramenti cattolici, sul catechismo e sulla Comunione, e sulle intersezioni tra fede, spaesamento e adolescenza.

Nella teologia cattolica, i sacramenti sono segni esteriori istituiti da Cristo per comunicare la grazia divina. Tradizionalmente, i sacramenti sono sette – Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza, Unzione degli infermi, Matrimonio e Ordine sacro. Ognuno funge da rito di passaggio che lega il credente alla vita spirituale e comunitaria della Chiesa. In Italia – soprattutto in contesti rurali e meridionali – la Chiesa cattolica ha storicamente operato come istituzione centrale che tiene unita la vita comunitaria. Catechismo, sacramenti e rituali non sono soltanto pratiche religiose, ma codici culturali di appartenenza. Per gli adolescenti, questo crea un legame inevitabile: rifiutare la Chiesa significa rischiare l’esclusione sociale. Rohrwacher mostra questa tensione mettendo in scena il rifiuto silenzioso di Marta di conformarsi pienamente, un atteggiamento che la isola non solo sul piano spirituale ma anche su quello sociale.

Il sacramento più centrale in Corpo Celeste è l’Eucaristia, preceduta dalle lezioni di catechismo e dalla preparazione alla Prima Comunione. Per un bambino, questa tappa dovrebbe segnare l’ingresso nella piena partecipazione alla comunità ecclesiale, favorendo sia l’intimità spirituale con Cristo sia l’appartenenza sociale. Idealmente, l’istruzione catechistica dovrebbe nutrire la fede, offrire fondamenti teologici e incoraggiare la crescita morale. Tuttavia, nel film di Rohrwacher, il processo appare come meccanico, istituzionalizzato e alienante – mettendo in luce il divario.

Le lezioni di catechismo di Marta, guidate dalla severa e spesso impaziente Santa, evidenziano gli aspetti performativi dell’istruzione religiosa. I giovani studenti memorizzano preghiere, provano rituali e subiscono le correzioni di Santa, ma viene dedicata poca attenzione al loro coinvolgimento personale con la fede. La camera indugia sul distacco silenzioso di Marta mentre fatica a interiorizzare forme rigide, contrapponendo il risveglio spirituale previsto alla sua estraneità tangibile.

Una scena particolarmente incisiva si verifica quando Marta viene rimproverata perché non conosce le risposte del catechismo. Invece di accogliere le sue domande, Santa impone la conformità, mostrando il ruolo della Chiesa come istituzione di disciplina più che di dialogo. Per Marta, la Comunione diventa meno una trasformazione spirituale che un obbligo culturale – un segno di appartenenza che non riesce ad abbracciare con facilità.

Come bambina migrante cresciuta in Svizzera, Marta incarna lo sradicamento culturale. È allo stesso tempo “dentro” per eredità e “fuori” per esperienza. Il ritorno in Calabria la spinge in un mondo di dialetti, rituali ed aspettative che le sono estranei. Rohrwacher cattura questa estraneità attraverso l’inquadratura: Marta è spesso posizionata ai margini dei gruppi, osserva in silenzio, oppure viene ripresa in campi lunghi che accentuano il suo isolamento.

Le sue interazioni con i coetanei oscillano tra un legame esitante e una silenziosa alienazione. A differenza dei compagni di classe, che in gran parte si sottomettono alle richieste ritualizzate del catechismo, Marta interroga il significato di questi riti. Il suo scetticismo non è una ribellione esplicita, ma un disagio incarnato, che segnala sia la sua ricerca adolescenziale di sé sia la sua condizione di “in mezzo” culturalmente. Marta è il nucleo emotivo e tematico. I suoi occhi che interrogano, i gesti esitanti e il ritrarsi del corpo contrastano nettamente con le pratiche rumorose e performative dell’istituzione. Rohrwacher la costruisce come testimone e insieme critica della presa della Chiesa cattolica sui giovani nel Sud Italia.

La madre di Marta è sovraccarica, pragmatica ed emotivamente distante, impegnata a bilanciare le richieste del lavoro, della famiglia e della tradizione. La sua scarsa attenzione al conflitto interiore di Marta rafforza la solitudine della protagonista, sottolineando il divario generazionale tra madri ancorate alla sopravvivenza culturale e figlie in cerca di identità. La sorella rappresenta assimilazione e conformità. A suo agio nei rituali e nei ritmi della vita cattolica calabrese, fa da contraltare a Marta – un’immagine di ciò che significa accettare senza domandare.

Santa incarna la rigidità istituzionale della Chiesa. Disciplina, corregge e rimprovera, privilegiando la precisione rituale rispetto a una crescita spirituale autentica. Il suo personaggio mette in evidenza la burocratizzazione della fede, in cui i bambini vengono preparati non a un incontro personale con Dio, ma alla conformità esteriore.

La scelta della Calabria come ambientazione è cruciale. Il paese viene rappresentato come insieme intimo e oppressivo, e i suoi spazi urbani decadenti rispecchiano la stagnazione istituzionale. La luce naturale e la camera a mano enfatizzano il realismo, mentre i piani lunghi permettono al disagio di Marta di emergere in modo organico. Il finale, in cui Marta si allontana dai preparativi per la Comunione e incontra un gattino appena nato vicino alla riva di un fiume, cristallizza il messaggio di Rohrwacher. Questo momento di fragile vita nuova al di fuori dei quadri istituzionali simboleggia un altro tipo di spiritualità – radicata nella natura, nella vulnerabilità e nella scoperta personale. Il gattino, come “sacramento” non autorizzato, incarna una fede svincolata dal rituale rigido.

La prospettiva di Alice Rohrwacher non è di rifiuto totale, ma di critica e nostalgia. Mostra il vuoto del rituale separato dal significato, ma resta attenta alla fame spirituale che i rituali dovrebbero nutrire. Concentrandosi sullo sguardo di una ragazza, Rohrwacher porta in primo piano l’intersezione tra genere, adolescenza e fede nel Sud Italia. Il suo messaggio al pubblico è duplice: primo, che le istituzioni rischiano di alienare proprio le anime che cercano di far crescere; secondo, che la spiritualità autentica spesso fiorisce ai margini, nei piccoli incontri non programmati della vita quotidiana.

Immagine di Monica Rossi Miller

Monica Rossi Miller

Monica Rossi Miller è docente universitaria presso la City University of New York e insegna lingua e cultura italiana e tedesca. Vive e insegna negli Stati Uniti da molti anni e si occupa di letteratura e cultura italiana attraverso il cinema. Recentemente ha curato un corso di formazione per professori universitari su come usare la scrittura come mezzo di apprendimento critico.

Condividi questo articolo sui Social

Facebook
WhatsApp
LinkedIn
Twitter

Post Correlati

Ritorna il camping di lusso Governors Island

Se stai cercando una fuga perfetta dalla frenesia della città senza allontanarti troppo, Governors Island potrebbe essere la tua destinazione ideale. E se desideri trasformare questa breve fuga in un’esperienza indimenticabile, Collective Retreats è pronto ad accoglierti con le sue

Leggi Tutto »

Natale a Capriana

La mattina di Natale a Capriana non assomiglia alla mattina di Natale di nessun altro luogo che io conosca. Non c’è il traffico nervoso delle grandi città, non c’è l’aria vagamente teatrale delle celebrazioni solenni. C’è invece un silenzio netto,

Leggi Tutto »
Torna in alto