William Geiger, regista statunitense, nato a New York, noto per il suo film del 2010 “Free Willy – La grande fuga”, ha accompagnato circa quattro anni fa sua moglie, italoamericana, a visitare uno zio in Sicilia. Rimane affascinato dallo Stretto di Messina e dai luoghi che si vi si affacciano sulle due sponde, siciliana e calabrese. A tal punto da restavi per quattro anni, vivendo in mezzo alla gente di Sicilia e di Calabria, per conoscere meglio usi, costumi, tradizioni, miti e leggende che rendono unico e straordinario quell’angolo di mondo. In un’intervista parlando dello Stretto di Messina ha detto: “Questo Stretto ha qualcosa di magico. Non ho mai visto un mare così bello. Non ho mai visto una luce così bella come qui sullo Stretto.”
Eppure, di luoghi nel mondo lui ne ha visitati tanti. Quei tesori trovati, quegli ambienti ricchi di storia e di fascino, quei personaggi conosciuti, non possono rimanere nascosti. Decide di scrivere una sceneggiatura per ricavarne un film e farli conoscere al grande pubblico. La Regione Siciliana, la Regione Calabria e un privato finanziano il suo progetto e il film dal titolo “Spiaggia di vetro” è già nelle sale dal 30 giugno scorso. Si tratta di una storia intensa che affascina e commuove, calata nel contesto socioculturale dell’area dello Stretto di Messina, dove essa si svolge, toccando una molteplicità di temi. Uno su tutti il tema del perdono. Salvo, il protagonista, deve perdonarsi e poi perdonare gli altri. Salvo è un pescatore e pratica la pesca del pescespada, che nello Stretto ha radici bimillenarie, costituendo un elemento cardine della cultura e della tradizione strettese. Merita perciò di essere raccontata.
Chi guarda lo Stretto di Messina, in questo periodo e per tutta l’estate, potrà osservare delle strane imbarcazioni che vanno, in lungo e in largo, a esplorare le sue acque. Si tratta delle moderne “feluche” motorizzate con traliccio di ferro e passerella, utilizzate per la pesca del pescespada.
Il pescespada nello stretto di Messina
Per sei mesi dell’anno, da ottobre a marzo, il pescespada, resta nelle profondità marine, proprio radente al fondo, sia perché le acque laggiù sono più calde, sia perché trova facilmente di che nutrirsi. Nei primi giorni di aprile sale a galla e si dirige verso le coste. È verso il 15 giugno che comincia il periodo degli amori e quindi degli accoppiamenti che dura per tutta l’estate. La femmina depone in più volte le uova, che arrivano a contare fino a 800.000 unità.
È in questo periodo che entrano nello Stretto di Messina e si dirigono verso la costa siciliana, seguendo un rituale vecchio di millenni, spesso a coppie, maschio e femmina. Dei due il più piccolo è proprio il maschio, che precede sempre la femmina e non l’abbandona mai, anche perché la femmina per accettare il maschio ha bisogno di essere ben corteggiata, con preliminari importanti. Nella pesca con la “traffinera”, cioè con l’arpione, i pescatori cercano di colpire sempre la femmina per prima.
Quando questa trafitta si dimena e lotta per liberarsi, il maschio non l’abbandona, si sforza di aiutarla e rimane presente sul posto per tutto il tempo della lotta, anche se questa dura parecchio tempo. Quando poi la femmina viene tirata su ormai morta, il maschio continua a tentare di seguirla esponendosi alla morte certa, che arriva quasi sempre puntualmente. Quando è invece il maschio a essere colpito per primo, la femmina lo abbandona senza alcun indugio, tanto farà presto a trovare un altro maschio come compagno, per assicurare la procreazione di nuove creature. A volte può succedere che si avvistano tre esemplari insieme, due maschi e una femmina. Questo avviene quando un maschio ha perso la sua femmina e cerca di corteggiare quella di un altro. Allora lì il bottino per i pescatori può diventare più cospicuo.

La pesca del pescespada
Questa pesca è parte inscindibile della cultura sviluppatasi fra la gente dello Stretto sin dai tempi della colonizzazione greca. Polibio, storico greco, vissuto tra il 206 e il 124 a.C., descrive già con dovizia di particolari la pesca del pescespada, praticata nello Stretto di Messina con sistemi di pesca, che sono durati fino agli anni ’50 del secolo scorso. Essa era praticata, a quel tempo, con la postazione di “feluche”, imbarcazioni di circa 12 m., dotate di un’”antenna” (palo centrale) di abete di 22 m., in cima alla quale saliva “u ntinneri”, che aveva il compito di avvistare il pescespada e segnalarlo alla barca, chiamata “‘u luntru”, che aveva il compito, a sua volta, di inseguire e cacciare il pescespada.
Le feluche venivano ancorate a circa 800 m. dalla riva siciliana e tenevano legate una o due altre piccole imbarcazioni. Una di dette imbarcazioni era appunto “u luntru”, pitturata all’esterno di colore nero per non essere vista dal pesce, con un piccolo albero posto al centro, dove si collocava “u farirotu”, la persona che riceveva la segnalazione dalla feluca e teneva d’occhio il pesce nel suo incedere. “U luntru” inseguiva, a remi, il pesce fino a quando era alla portata di “u lanzaturi” (il fiocinatore) che lo arpionava.
Preso il pesce lo passavano alla seconda barca in dotazione della feluca, dove altri marinai avevano l’incarico di “maneggiare” il pesce arpionato fino a sfinirlo, per poi tirarlo esanime sulla barca. Mentre “u luntru” riprendeva il suo posto dietro alla feluca, pronto a ripartire per un eventuale successivo inseguimento su indicazione di “u ntinneri”.
A partire dalla fine degli anni ’50 e i primi anni’60 fanno la loro comparsa le “feluche a motore”, altrimenti dette “passerelle”. Esse cambiano il sistema di pesca del pescespada con la “traffinera”, praticato da oltre duemila anni e fino ad allora. E vanno a sostituire, in un unico mezzo, le vecchie “feluche” da posta e “u luntru”. Sono lunghe fra i 12 e i 20 metri, con uno, due o anche tre motori di varia potenza che consentono loro la giusta velocità, per l’inseguimento della preda.
Sporgente dalla prua dell’imbarcazione si trova una lunga passerella, in parte retrattile come le scale dei pompieri, per una lunghezza che può variare dai 20 ai 40 metri, sostenuta da un fitto intrico di cavi metallici, con la funzione di creare distanza tra la prua, facilmente individuabile dal pesce, e la preda avvistata. Al centro della stessa imbarcazione è collocato un albero “traliccio” che misura dai 20 ai 35 metri, sostenuto, anche questo, da un fitto intrico di cavi. Su detto “traliccio” salgono e si posizionano, in quella che viene chiamata “coffa”, due o tre “vedette” o avvistatori, col compito di esplorare il mare percorso in lungo e in largo per individuare i pesci in transito. Nella “coffa”, posta proprio in cima al “traliccio”, sono sistemate anche le leve di comando del motore e gli organi di guida dell’imbarcazione, azionati da uno o due uomini di vedetta.
Avvistata la preda, essi, dall’alto, hanno il compito di avvisare gli uomini in coperta e di dirigere con precisione l’imbarcazione lungo i percorsi del pesce. Facendo in modo di portare sulla verticale del pesce l’estremità anteriore della passerella, mettendo “u lanzaturi” nelle condizioni di colpire il pesce con precisione, con poche possibilità di fallimento. Oggi è diventato tutto più facile, mentre nella pesca di un tempo si assisteva a una vera lotta tra i pescatori e il pesce. L’abilità dei pescatori, costretti spesso ad affrontare, a remi, venti e onde contrarie, e con la sola forza dei loro muscoli, si misurava con l’abilità del pesce, che spesso la faceva franca.
Don Giovanni d’Austria e la pesca del pescespada
Si racconta che Don Giovanni D’Austria, figlio illegittimo dell’imperatore Carlo V D’Asburgo, trovandosi a Messina nell’estate del 1571, in attesa della formazione della flotta della Lega Santa, con la quale, il 7 ottobre dello stesso anno, sconfisse la potenza turca nella famosa battaglia di Lepanto, si appassionò talmente alla pesca del pescespada che volle istruirsi nell’uso dell’arpione, divenendo un bravissimo fiocinatore (lanzaturi), tanto che una volta uccise sei pescispada di sua mano. Un’altra volta gli accadde anche che un pescespada ferito, ma non molto rassegnato a morire, si avventò contro la barca e la perforò da parte a parte. Il Principe mandò a suo padre, Carlo V, la spada di quel pesce come segno dello scampato pericolo.
Oggi questa pesca non rende più come un tempo, per effetto dei cambiamenti ambientali. Rappresenta, più che altro, un valore da difendere e custodire, con le sue radici millenarie. Per salvaguardarla è stata escogitata la pesca-turismo, disciplinata per legge, che offre la possibilità, a chiunque lo desideri, di condividere con l’equipaggio di pescatori una giornata di esperienze marinare a bordo delle spettacolari feluche motorizzate (motopasserelle).