C’è un pezzo di America nel soffitto della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, progettato mille anni dopo la costruzione della chiesa dall’architetto Giuliano da Sangallo.
Un soffitto a cassettoni lungo all’incirca 86 metri e largo una trentina, che venne decorato con il primo oro portato da Cristoforo Colombo.
Lo avevano donato i re cattolici Ferdinando ed Isabella di Spagna a papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, anch’egli spagnolo, salito al trono pontificio proprio nel 1492 l’anno della scoperta del nuovo mondo. E ancora oggi i reali spagnoli sono benefattori e membri onorari del capitolo della basilica, al cui interno si venera l’immagine di Maria, Salus populi romani, tanto cara a Papa Francesco che ha voluto essere sepolto qui.
Tutto, in questa basilica, ci riporta al Natale.
La sua storia si intreccia con la leggenda a partire da un sogno e dai nomi con i quali veniva chiamata.
Il sogno è quello che fecero contemporaneamente la notte fra il 4 e il 5 agosto del 358 due patrizi romani, Giovanni e sua moglie, e papa Liberio.
Da tempo la coppia, che non aveva figli, pregava affinché trovasse ispirazione sull’impiego del patrimonio familiare. Sognarono la Madonna che espresse loro il desiderio di vedere costruita una basilica là dove quella notte di agosto sarebbe caduta la neve.
Andarono di corsa dal papa che rivelò di avere avuto anche lui la stessa apparizione e insieme si recarono sul colle Esquilino, al tempo fuori della città, dove in effetti era avvenuta la straordinaria nevicata d’agosto.
Fu il pontefice a tracciare sul manto bianco il perimetro della chiesa che si sarebbe dovuta costruire.
Quando nel 431 il concilio di Efeso stabilì che Maria fosse non solo madre di Cristo, ma madre di Dio. (nella preghiera: “…santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte.”), papa Sisto III per celebrare l’avvenimento ordinò di restaurare e decorare magnificamente la basilica denominata Santa Maria Maggiore perché doveva essere il più grande santuario dedicato alla Madonna.
Ora non è chiaro se la nuova basilica sia stata costruita sulle rovine della vecchia e più piccola chiesa disegnata da papa Liberio o poco distante.
Il nuovo edificio si trovava nei pressi del luogo in cui si festeggiavano i “matronalia” sulle rovine del tempio che i romani avevano dedicato a Giunone Lucina, protettrice delle partorienti.
Il luogo sarebbe stato scelto proprio per opporre il parto dell’Immacolata al mito di Lucina e stroncare il culto pagano.
Siamo negli anni successivi alla decisione di Costantino di promuovere il cristianesimo fino a farlo diventare religione ufficiale dell’impero.
I concili convocati allora, Nicea prima di Efeso, servivano a dirimere questioni dottrinali e si assisteva ad un sovrapporsi cristiano sulle tradizioni pagane precedenti.
Verso la metà del VII secolo la basilica prese il nome di Santa Maria del Presepio in seguito alla costruzione dell’oratorio omonimo che accoglieva la reliquia della Culla del Signore e le fasce nelle quali sarebbe stato avvolto.
Lo spazio doveva riprodurre in scala ridotta quello fatto costruire da Costantino nella basilica della Natività di Betlemme. Nella cappella il papa celebrava la messa la notte di Natale. Ne parlano tre documenti risalenti al tempo di papa Teodoro (642-649).
In quel periodo potrebbero essere giunte dalla Terrasanta le reliquie inviate dal patriarca di Gerusalemme, Sofronio, che riteneva fossero più al sicuro a Roma che non a Betlemme da poco conquistata dagli Arabi.
La Sacra Culla è costituita da cinque piccole assi di legno, una delle quali era parte della cornice di un quadro della Natività andato perduto a seguito del sacco di Roma del 1527. Le altre quattro, probabilmente di legno di acero o di sicomoro, sono conservate in un reliquiario di cristallo opera del Valadier.
Insieme alla culla sono conservate anche alcune strisce di tela che potrebbero aver fatto parte delle fasce nelle quali era stato avvolto il Bambino. Secondo la tradizione sarebbero state portate dalle imperatrici Eudossia e Pulcheria, ma nel medioevo il traffico di reliquie da Gerusalemme alimentò un grande commercio con un proliferare di reperti della cui autenticità c’è fortemente da dubitare.
Fino all’anno mille nei documenti non c’è traccia del miracolo della nevicata che si diffuse solo nel decimo secolo. E in una bolla di papa Niccolò IV del 1288 la chiesa viene definita Santa Maria della neve.
Il film della leggenda è illustrato nei bellissimi mosaici della facciata di Filippo Rusuti tra la fine del duecento e gli inizi del 1300. Mosaici firmati dall’autore che si è ritratto mentre tiene per le briglie un cavallo, radice del suo nome di battesimo Filippo, dal greco philos o ippos, amico dei cavalli.
Fu sempre Niccolò IV, primo francescano a diventare papa e sepolto in Santa Maria Maggiore, a commissionare allo scultore Arnolfo di Cambio un presepe di marmo, la natività scultorea più antica del mondo, che doveva evocare quanto aveva fatto Francesco a Greccio nel 1223, la prima ricostruzione con persone e animali della scena della nascita di Gesù.
E ancora il Natale nel progetto di Sisto V che nel 1527 scelse Santa Maria Maggiore come uno dei punti fondamentali del suo progetto di risistemazione di Roma.
Per simboleggiare la centralità e la luminosità della basilica nel nuovo piano urbanistico, Sisto V usò la metafora della cometa, che con la sua coda si estendeva in diverse direzioni. La basilica era vista come il centro da cui le nuove strade si diramavano.
Questa visione si concretizzò con la costruzione di arterie come Via Sistina o via delle Quattro Fontane, che collegavano la basilica con altri luoghi importanti della città, come la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme e la Basilica di San Giovanni in Laterano.




