Una Nuova Forma di Arte Pittorica: Intervista a Daniela Arnoldi e Marco Sarzi-Sartori (DAMSS)

Una Nuova Forma di Arte Pittorica: Intervista a Daniela Arnoldi e Marco Sarzi-Sartori (DAMSS)

La tecnica della “tessitura” è complicata per chi non è esperto. Le opere di DAMSS richiedono anche una notevole fatica fisica, non solo per le loro dimensioni, ma anche per il processo che coinvolge trama e ordito

In Italia è nata una nuova forma di espressione nell’arte pittorica. Sebbene sia solo parzialmente simile alla tecnica dell’arazzo, poiché utilizza fibre vegetali colorate, questa forma d’arte si distingue per la disposizione delle fibre su diversi livelli. Le fotografie non riescono a catturare l’impatto visivo dei lavori di Daniela Arnoldi e Marco Sarzi-Sartori (noto come DAMSS), marito e moglie, lei ingegnere e lui architetto, la cui conoscenza dei materiali deriva da decenni di esperienza professionale.

Oggi, chiusa la partita con tecnigrafo e calcolo delle strutture, le loro opere a quattro mani stupiscono i visitatori delle loro mostre, ospitate in Italia, Europa e oltre oceano.

“Crediamo in un lavoro che è per noi una sfida sul piano della creatività, dell’abilità manuale e della ricerca tecnica. Abbiamo creduto nella sinergia delle nostre teste, mani, intenzioni. Lavorare in due rende più del doppio; è un percorso di perfezionamento continuo”, affermano i due artisti.

La Complessità della “Tessitura”

La tecnica della “tessitura” è complicata per chi non è esperto. Le opere di DAMSS richiedono anche una notevole fatica fisica, non solo per le loro dimensioni (“L’Ultima Cena”, ispirata a Leonardo da Vinci, misura 8,80 x 2,50 metri, mentre “Le Cinque Terre” è lunga 21 metri x 2,5), ma anche per il processo che coinvolge trama e ordito. “Tramare” richiede tempo e impegno. È interessante notare che il “tessuto” e il “testo” condividono la stessa etimologia. Il “medium” attraverso il quale si esprime l’arte varia: in letteratura è la parola, per chi dipinge è la tavolozza, mentre nel caso di DAMSS i tessuti stessi diventano il contenuto e il messaggio delle loro opere.

Invece di pennelli e colori, la pittura tessile di DAMSS utilizza fibre riciclate provenienti da scarti industriali. L’arte tessile e il commercio di tessuti hanno storicamente rappresentato una ricchezza per l’Italia, in particolare a Milano, dove vivono Arnoldi e Sarzi-Sartori. Qui, il tessuto diventa “architettura tattile” in tre dimensioni. La “Fiber-art” è un’arte moderna quanto antica, che richiama l’idea che lo spazio sia curvo, come suggerito dalla Relatività di Albert Einstein.

In questa direzione si muovono i pannelli della serie “Città future” con “Milano 3000”, “Venezia 3000” e “Roma 3000”, ognuno di 12 metri per 4 di altezza. Queste opere sono narrazioni visive che ricostruiscono le tre città fra mille anni, in una forma fantascientifica e horror, simile ai lavori di Hieronymus Bosch o ai film come Metropolis di Fritz Lang, nonché alle opere di Salvador Dalì. Allo stesso tempo, queste opere fanno eco alla cronaca: guerre apocalittiche, disastri e smarrimento di civiltà.

L’Intervista con DAMSS

Di seguito, l’intervista realizzata con Arnoldi e Sarzi-Sartori. Il lettore può immaginare una conversazione in cui i due artisti rispondono quasi all’unisono, fornendo una risposta unificata alle nostre domande.

Come avete descritto le vostre “Città future”?
“In ‘Venezia 3000’ immaginiamo un maremoto, causato da un nuovo vulcano nella faglia balcanica, che distrugge la laguna, lasciando solo monumenti in rovina, come San Marco, in un ambiente semidesertico. Nel progetto ‘Inferno 3000’, che chiude i nostri lavori dedicati ai rischi del futuro, abbiamo creato una sorta di film stampato su cotone e altre fibre, che descrive una megalopoli di quattro miliardi di persone, un racconto di fantascienza che ci ricorda perché l’horror sia così amato dai giovani. Nello stesso tempo, c’è la speranza nella fuga verso altri pianeti… ‘Space is the place’, come recitava il jazzista Sun Ra.”

Daniela: “Si può meglio comprendere la realtà di oggi con una rappresentazione del futuro. Anche quando lavoravamo come professionisti facevamo arte, ma io avevo il realismo di un ingegnere che crea progetti, mentre Marco, da architetto, era più istintivo e non portava a termine i suoi lavori. Non voleva finirli perché ‘quando un lavoro è finito non mi appartiene più’. Già allora ero attratta da un’arte tessile non propriamente classica.”

Marco: “Io, in realtà, ero quello che comunque voleva rispettare i canoni: l’uomo vitruviano, la verticalità, la sezione aurea. Così abbiamo unito le nostre esperienze, partendo dal quilt, un modo di fare patchwork su cui lavorava Daniela. Il quilt è molto legato alla tradizione americana, agli Amish che si trovano tra la Pennsylvania e l’Ohio. Ne abbiamo realizzati diversi nei primi quattro anni di lavoro artistico insieme. Nella tecnica del quilt, la precisione è fondamentale. Per noi, però, era ancora artigianato, e ci andava stretto. Abbiamo quindi trovato una forma di espressione diversa.”

“Abbiamo due livelli di creatività: il primo riguarda la realizzazione di un progetto grafico condiviso e definito, in scala 1:100. Poi lo facciamo stampare a dimensioni naturali, per esempio 12 metri per 4. A quel punto, il progetto è serigrafato su più rotoli di un metro e mezzo ciascuno. Da questa bozza, passiamo alla seconda fase in forma tessile.”

Che rapporto c’è con gli arazzi?
“Le due forme sono diverse. Ad esempio, l’arazzo si crea su telaio, è una tessitura, mentre la nostra è una cucitura. Molti, a prima vista, considerano la Fiber art come una versione moderna dell’arazzeria, ma noi cuciamo integralmente e senza collanti. Utilizziamo un telaio non da tessitura, che abbiamo costruito noi. Su quello poniamo il pannello di tessuto che lavora la cucitrice. Il tessuto rimane steso come una pergamena tra due rulli che scorrono verticalmente e orizzontalmente. Il nostro lavoro non è artigianato: l’artista esplora l’ignoto, mentre l’artigiano crea lavori riproducibili in serie. A volte abbiamo creato dei multipli, ad esempio ‘statue’ coi nostri volti, rivestite con gli abiti che realizziamo. Questo è un tributo alla storia dell’industria tessile italiana e della nostra moda, espressa con una serialità simile al pop di Andy Warhol.”

Nelle serie di Warhol c’è una catena di differenze e riproduzioni…
“Noi creiamo qualcosa di simile a un’opera musicale, divisa in movimenti. Ad esempio, nella serie sul mito o in quella delle Cinque Terre, composta da diverse parti che, unite, formano un’opera di 21 metri. Riprodurre fotograficamente queste opere è molto difficile: la nostra Fiber art è quasi in antitesi con la fotografia, sia per le dimensioni sia per le sfumature di colore. La fibra ‘esce’ dal piano, creando un effetto tridimensionale che la foto non riesce a rendere, se non in parte. La Fiber art è materia e colore che emergono dalla superficie piana di una tela.”

Il materiale che utilizzate è costoso?
“Fortunatamente, abbiamo alcuni sponsor, come Aurifil di Saronno, che ci ha donato tre tonnellate di filati non più utilizzabili per il tessile.”

La vostra tecnica richiama in qualche modo i pixel e il 3D digitali?
“Utilizziamo due fili che possono alternarsi in alto e in basso sulla base del pannello, e dipingiamo i dettagli con il filato sul tessuto. Usiamo il digitale per il progetto iniziale; i nostri pixel sono come un mosaico o un intarsio in legno. Non abbiamo la tela, ma due livelli: sopra la stampa serigrafica del progetto c’è il tessuto che costituisce la base, e sul tessuto si applica il filato con cui dipingiamo i dettagli. Tracciamo trama, ordito e colori con i fili. Tendiamo a dipingere come gli impressionisti: l’opera va osservata da lontano, per cogliere l’insieme dei punti e dei colori. È un principio che ci ha ispirato.”

“Utilizzando materia e non colori a olio, il risultato finale è visivo e tattile, e crea un dialogo con lo spazio che si avvicina al contemporaneo. Le nostre opere sono installazioni artistiche site-specific.”

Cosa vi attende ora?
“Ci siamo spostati sulla creazione di spazi d’arte, quindi continueremo a lavorare a questo livello. Abbiamo una mostra programmata a Milano, all’interno di un nuovo progetto di rigenerazione urbana a Sesto San Giovanni, che darà vita a una nuova Milano. Non ci chiudiamo alle piccole gallerie. Ma sogniamo un’arte che sia un monumento di natura e cultura.”

Picture of Paolo Della Sala

Paolo Della Sala

Paolo Della Sala è uno scrittore e musicista che trova ispirazione nella musica mentre lavora ai suoi articoli e racconti. Ha collaborato con Gianni Celati e ha ricevuto influenze da figure come Paolo Fabbri, Carlo e Natalia Ginzburg e Umberto Eco. Attualmente, scrive per diverse testate, tra cui Il Settimanale, Reputation Review e L’Opinione, concentrandosi su geopolitica e cultura. Ha esperienza anche con Il Secolo XIX, Rai Radio Tre e altre testate. Ha pubblicato "Alice Disambientata" con Gianni Celati e curato l'archivio di Gianni Rodari. Nel cinema e nella TV, ha lavorato come promoter per Portofino Film Commission e come aiuto regista in videomusica e pubblicità, oltre ad essere stato interprete-musicista per La Chambre des Dames.

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