La comunicazione è un’arma contro i cattivi maestri della pazza folla

La comunicazione istituzionale deve agire positivamente, non intossicare le masse, trasformando ogni questione in un atto di guerra contro il proprio nemico politico. Per non parlare della comunicazione dei media, quella più scervellata, stupida, piena di errori, disambientante e benpensante.

E’ pur vero che la comunicazione (il linguaggio, le parole, le immagini, i segni del linguaggio) “E’ tutto ciò che può essere utilizzato per mentire”, come scriveva Umberto Eco. Proprio per questo, però, ci vuole estrema attenzione da parte di chi scrive.
Invece ci troviamo imprigionati In un quadro in cui la neoplasia dei blocchi contrapposti e in semi-guerra tra loro si accoppia con la polarizzazione di ogni discussione.

Rispetto alla categoria dei giornalisti io, che pure sono stato iscritto all’Inpgi per un po’ di anni, ho una definizione pesante: “I giornalisti sono come i serpenti: devono la vita e il loro nutrimento al veleno che utilizzano”.

Ebbene, in questo contesto i governi occidentali annaspano come polli in un pollaio pieno di volpi e faine. Non c’è niente da fare: la memoria delle masse e tutta nell’iper hard disk dell’effimero quotidiano dei social e della tv, e se non puntualizzi una risposta a ogni affermazione fatta da Putin, dagli jihadisti o dal primo cretino, allora l’opinione pubblica prenderà sbandate colossali. Negli Stati Uniti il partito Democratico come quello Repubblicano non sono stati ondivaghi: Putin e l’Iran andavano contrastati e non pagati per il gas e petrolio. L’Europa invece ha bypassato la Polonia con Nord Stream.

Meglio fare la guerra dei comunicati al posto di quella con le armi. Quando in queste ore il dittatore russo dice che l’Occidente interviene direttamente in Ucraina, e che questo rischia di portare a un conflitto nucleare, la cosa non può passare in silenzio nei titoli dei tg e dei giornali. Servono repliche puntuali: per esempio il governo italiano potrebbe chiarire la questione dicendo tout court: E la Russia coi suoi alleati come Nord Corea e Iran non intervengono forse in territorio ucraino?”.
Ricordiamo un altro vantaggio: se facciamo comunicati alla nostra opinione pubblica, questi arriveranno anche a chi in Russia e Iran detesta il regime. Daremo un piccolo sostegno alle forze democratiche che vivono terribili oppressioni. Questo tipo di azioni deve essere continuativo, e non limitarsi a una dichiarazione su casi macroscopici come l’assassinio di Aleksej Navalny.

Comunicare puntualmente serve anche a valorizzare la ricerca di punti di vista alternativi, che è uno dei migliori processi educativi per i giovani: formare persone che non smetteranno mai di pensare con la propria testa, in base a ricerca continua delle particelle di verità cui possiamo aspirare.

Sui giovani vale la pena di ricordare Barbara Balzerani, figura di spicco delle Brigate Rosse. Nel 2003 definì (con Renato Curcio e altri) la lotta armata e la clandestinità “assolutamente improponibili” nel contesto odierno. Nel 2006 le è stata concessa la libertà condizionale, ha poi lavorato per una cooperativa e si è si è occupata di letteratura. Nel gennaio 2018 la Balzerani è caduta in un errore grave scrivendo su Facebook: “Chi mi ospita oltre confine per i fasti del 40nnale?”, riferendosi all’anniversario dell’agguato di via Fani. E’ morta da pochi giorni e una professoressa universitaria de La Sapienza non ha perso l’occasione di rimarcare le sue idee con un post Facebook tardivamente cancellato che suonava così:  “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna” (nome in codice della brigatista).
Questo post non è da condannare al rogo (un liberaldemocratico condanna la cancel culture e il “woke” e li qualifica come nazicomunismo riemergente, quindi è nemico della censura, ma amico del pluralismo delle opinioni). Resta però grave il fatto che tra molti docenti universitari il pensiero non sia aperto al confronto ma tenda a essere assolutista e polarizzato, tanto che il liberalismo è censurato e seviziato culturalmente, e tanto che su Israele la condanna è la stessa mossa da secoli sia dall’infame politica incistata a destra e a sinistra sia da quella parte di Vaticano che ancora presenta tratti dell’antico potere temporale.

Su Israele riemerge tutto il fascio di odio “a prescindere”.
A tutti consiglio la lettura di un eccellente articolo di David Grossman, pubblicato sul New York Times (https://www.nytimes.com/2024/03/01/opinion/israel-gaza-palestinians-hostages.html).
Ho invece sentito un commento di Lucio Caracciolo su Israele e Gaza, che partiva da un’analisi su quanto afferma Smotrich, un estremista che si situa politicamente alla destra di Benjamin Netanyahu.

Caracciolo spiega quale sia “l’obiettivo finale” di Israele: “il controllo assoluto e quindi l’annessione dei territori della Transgiordania…”. Caracciolo definisce Smotrich “una specie di Vicere’ di Samaria e Giudea” (nomi originali della Transgiordania). Come fa un analista di politica estera a utilizzare termini offensivi e infantili (Viceré) e volti a orientare il pubblico? Eppure, in un panorama della comunicazione in cui tutto circola liberamente, lo champagne e la pipì, il caviale e la cacca, tutto si può dire. Così, chi la spara più alta (a volte per interesse personale) ha più audience, anche se è una scarpa con altoparlante incorporato.

Caracciolo aggiunge che Smotrich vorrebbe anche un pezzo di Libano, la Giordania e “probabilmente” anche un pezzo dell’Egitto. Dimentica di dire che il Sinai e Gaza furono restituiti unilateralmente ai palestinesi e all’Egitto, che li avevano persi in seguito alle infinite guerre intentate contro una nazione più piccola della Lombardia.

Perché invece non citare David Grossman, che la pensa ben diversamente da Smotrich, oppure rendere note  le affermazioni di Noam Chomsky, un altro israeliano influente che la pensa “quasi” come Al Fatah e la sinistra estrema italiana? Perché invece sfruttare le affermazioni di un singolo per rappresentare male un popolo intero di fronte a un’opinione pubblica che è sempre pronta a saltare sul carro del primo ladro di anime che spara a zero contro gli “ebrei” e gli americani”? Se ci si occupa di geopolitica non si può prendere una parte per il tutto (Qui l’intervento di Caracciolo).

Prendiamo la campagna comunicazionale “La Nato da anni fomenta e prepara la guerra!”, il che è quanto dicono in Europa sia la sinistra radicale sia la destra nazionalista antiamericana. Perché non dire a chiare lettere che la questione è nata già nel 2000 con la guerra cecena, al cui confronto quella di Gaza è una lite tra bambini? Era già tutto scritto nell’esordio di Vladimir Putin: bastava aprire -se non gli occhi- almeno il cuore e il cervello. Pochi mesi dopo i massacri in Cecenia arrivò l’11 settembre 2001: anche Bill Clinton aveva dormito negli anni ’90… Anche l’Europa perse tempo a inseguire le relazioni diplomatiche con l’Iran e quelle economiche con Mosca, manco si vivesse tutti in un suq arabo.
La Nato si armava? Vuoi la pace? Stai bene armato! Ma se vuoi la guerra, non armarti e pensa di risolvere tutto con la diplomazia (con Hamas e gli ayatollah e con Putin?).
La “diplomazia” utile alla cattiva comunicazione è l’Aspirina e il Sacro Graal degli intrallazzi politico-economici rivestiti dalla parola “pace”. Diciamolo chiaramente.

Non utilizzando l’arma della comunicazione siamo arrivati a una serie di punti malfermi:

  • Cortei, proteste, violenze di piazza contro le bombe israeliane, non contro le bombe russe;
  • Boicottaggi contro i prodotti e la cultura israeliani;
  • Israele “massacra e mutila”, ma sugli stupri e le decapitazioni di Hamas silenzio anche da parte femminista e dintorni.
  • Non si ricorda che la responsabilità dei morti di Gaza va in primis data ad Hamas, che li ha usati come scudi umani, piazzando uomini e armi sotto gli ospedali e -appunto- utilizzando i fondi europei etc. per missili e cannoni e non per frutta e pane. La prima cosa che fece Hamas quando Israele consegnò unilateralmente Gaza ai palestinesi fu distruggere le migliaia di serre che avevano costruito gli israeliani, i cui frutti venivano mangiati a Gaza e rivenduti all’estero.
  • Non si possono paragonare le azioni delle tirannidi con le reazioni di Europa e Occidente. E’ come paragonare Hitler e Stalin con Churchill e Roosevelt. Come paragonare il caviale con la cacca.
  • Contro le centrali nucleari ci sono stati centinaia di manifestazioni, migliaia di comizi, milioni di articoli e post sul web. Contro la minaccia nucleare fatta da ministri e dal presidente della Russia, silenzio di tomba.
  • Il quotidiano Il Manifesto ricorda la manifestazione fatta dal regime cubano contro il “genocidio” commesso da Israele. Qualcuno della dirigenza Anpi si è giustamente dissociato dall’uso del termine “genocidio” riferito a Israele. Il Manifesto, ricordo, venne definito “Nazifesto” nei commenti sui siti legati a Israele quando, a inizio 2000, in concomitanza con la guerra in Cecenia, esplose la seconda Intifada e saltavano in continuazione ristoranti, scuole, bar, e venivano uccise famiglie di israeliani nelle loro case, il tutto nel silenzio degli occidentali (vedere ancora oggi il silenzio sugli attentati nella pagina “Seconda Intifada” di Wikipedia).

La comunicazione è fondamentale per le democrazie soprattutto, e non solo per la politica esrtera.  Michele Serra, in una risposta alla sua rubrica su Il Venerdi del giornale La Repubblica, ha risposto a un lettore sulla questione delle proteste degli agricoltori europei, sostenendo cose condivisibili, come il non mangiare le ciliegie della Namibia a Natale, ma per poi cadere in una gaffe che distorce la realtà dell’agricoltura. Ha ricordato che l’agricoltura ci costa il 20% del bilancio Ue (ma per cosa vuoi spendere i soldi allora, per il Festival di Sanremo?). Poi si è lanciato nel discorso sul mangiare “sano” biologico e a km. zero (io lo faccio ogni volta che posso, ma per mangiare ho quanto basta). Poi ha corretto il tiro specificando che il biologico deve diventare disponibile per tutti… (come e a che prezzo?).

Michele Serra sa che per dare da mangiare a quasi otto miliardi di esseri umani (oltre a venti miliardi di cani e gatti) le coltivazioni intensive sono un obbligo? Vuoi fare gli orti urbani a Nairobi a Lagos a Pechino tra batteri grossi come Tir e scarichi di auto? Al massimo si potrà utilizzare la carne coltivata. Al massimo si potrà passare dalla coltivazione intensiva alla coltivazione semi-intensiva.
Inoltre, siamo sicuri che gli hamburger molto lavorati, fatti di soia e vegetali vari (che io compro per alternarli con la carne) siano meno dannosi per l’ambiente dell’allevare polli? Hmm.

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Paolo Della Sala

Paolo Della Sala è uno scrittore e musicista che trova ispirazione nella musica mentre lavora ai suoi articoli e racconti. Ha collaborato con Gianni Celati e ha ricevuto influenze da figure come Paolo Fabbri, Carlo e Natalia Ginzburg e Umberto Eco. Attualmente, scrive per diverse testate, tra cui Il Settimanale, Reputation Review e L’Opinione, concentrandosi su geopolitica e cultura. Ha esperienza anche con Il Secolo XIX, Rai Radio Tre e altre testate. Ha pubblicato "Alice Disambientata" con Gianni Celati e curato l'archivio di Gianni Rodari. Nel cinema e nella TV, ha lavorato come promoter per Portofino Film Commission e come aiuto regista in videomusica e pubblicità, oltre ad essere stato interprete-musicista per La Chambre des Dames.

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