LA RABBIA IMPEGNATA PASOLINIANA VERSO L’ISTRIONICO DISINCANTO CATTELANIANO
Nel 1963, Pier Paolo Pasolini presentava il suo film ‘La Rabbia’ affermando: “Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra? Per rispondere a questa domanda il Poeta di Casarsa affermò di avere scritto questo film senza seguire un filo cronologico e forse neanche logico, ma soltanto le proprie ragioni politiche e il proprio sentimento poetico.”
61 anni dopo, il trio Gagosian, Cattelan e Bonami ha presentato a New York un’opera monumentale che si interroga sulla violenza e sulla sua assuefazione, estetizzandola attraverso il filtro irriverente dell’artista padovano.
Pasolini e Cattelan, cattolici di educazione ma non di fede, convinti nemici della borghesia benpensante, forse masochisti, senz’altro sempre immersi nel lavorio e esplorazione del proprio mondo contemporaneo. Scavando dentro i propri abissi entrambi in fase alterne della propria carriera si sono ritrovati a riflettere sulla violenza e la sua normalizzazione.
Se Pasolini affrontò l’argomento con cinema e scrittura, prima, con il suo corpo e la propria fine poi, gli strumenti scelti da Cattelan per la sua ultima opera sono stati spari su 64 pannelli in acciaio inox placcati in oro 24 carati. L’opera è stata creata da un gruppo di professionisti autorizzati in un poligono di tiro a Brooklyn, che ha sparato più di 20.000 colpi nei pannelli spessi 3 mm, realizzati in Europa. All’evento è stato dato un tocco di glamour in quanto organizzato di fronte a un pubblico di selezionatissimi ospiti fra cui Jeff Koons.
L’OPERA E I SUOI DERIVATI
Comprare un’arma d’assalto è possibile, ma se ti permetti di fare pipì davanti a tutti, rischi una multa se non addirittura l’arresto. Questa è l’America in un commento di Francesco Bonami, ma che potrebbe anche esserlo in un racconto dal barbiere. E questa è anche la maniera più didattica e grossolana in cui può essere presentata un’opera che da subito si è aggiunta alle più eclatanti fra quelle realizzate da Maurizio Cattelan, trasmettendo un’aura più devastata che devastante, una nudità che spara al cuore del visitatore e ti ricorda come amava scrivere Vito Acconci: non è il proiettile a ucciderti, ma il suo buco
LO SPARO COME GESTO CREATIVO
La tecnica di realizzazione dell’opera ha creato l’occasione per un resoconto di quanti artisti hanno incorporato l’atto di sparare nel loro processo creativo, usando le armi da fuoco come strumenti
per creare arte. Ecco alcuni esempi notevoli:
Niki de Saint Phalle:
Niki de Saint Phalle era un’artista franco-americana conosciuta per la sua serie di “Shooting Paintings” (Tirs). Sparava a tele e ad altri materiali che avevano sacchetti di vernice e altri oggetti attaccati a loro, causando l’esplosione del contenuto e creando composizioni astratte.
Günther Uecker:
Artista tedesco e membro del gruppo ZERO, Uecker utilizzava chiodi e armi da fuoco per creare le sue opere. Sparava chiodi su tele e superfici di legno, creando pezzi testurizzati e spesso dall’aspetto violento.
Chris Burden:
Artista performativo americano, il lavoro di Burden spesso implicava pericolo personale. Nella sua performance del 1971 “Shoot,” chiese a un amico di sparargli al braccio con un fucile calibro 22. Questo pezzo non riguardava la creazione di un’opera fisica, ma era una performance che esaminava temi di violenza e vulnerabilità.
Rafael Lozano-Hemmer:
Sebbene non utilizzasse armi da fuoco tradizionali, le installazioni interattive di Lozano- Hemmer talvolta coinvolgevano il concetto di sparo come metafora. Ad esempio, nel suo pezzo “33 Questions Per Minute,” i partecipanti usavano una mitragliatrice modificata per sparare parole su uno schermo.
William S. Burroughs:
Conosciuto principalmente come scrittore, Burroughs sperimentava anche con lo sparo come forma d’arte. Sparava a bombolette di vernice spray posizionate davanti a tele, creando pattern di schizzi spontanei e imprevedibili.
Fra i contemporanei, è inevitabile menzionare anche le opere di Anthony James, esposte alla Opera Gallery. Entrambe consistono in fogli di metallo lucido segnati da fori di proiettile; entrambe sono state
addirittura inaugurate il solito giorno, e nella medesima città, New York.
LA COMMEDIA È STUPENDA
La commedia è stupenda, pronuncia più volte Schaunard nell’immortale Boheme di Giacomo Puccini. E chissà se troverà spazio nell’immortalità l’opera in marmo intitolata Novembre che assiste suo malgrado all’installazione in questione alta 5 metri e larga 20. Curiosamente, intanto che l’attenzione e il dibattito generato dai pannelli sparati ha deviato implacabilmente l’attenzione altrove diminuendo appunto il lavoro dichiaratamente dedicato alla trascuratezza: un uomo abbattuto su una panchina che si abbandona a un’indecente e copiosa azione orefizia. La scultura rappresenta un essere vinto, derelitto e inerme, con la
forza vitale ai minimi. In una società dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri sembra che l’unica scelta di chi rimane ai margini sia un ultimo gesto di ribellione al proprio destino sparando a un muro di gomma dorato davanti a sé e che per tutta la vita lo ha respinto, oppure arrendersi, lasciarsi definitamente andare, regredire a forme pregresse e sempre meno umane.
Sulla violenza, ma soprattutto sulla sua assuefazione, Cattelan sancisce il suo ritorno definitivo, Con una mostra composta da due opere ci lascia pieni di interrogativi sull’aggressività dei rapporti e della società contemporanea e sulla sua banalizzazione. E chissà cosa avrebbe pensato Piero Paolo Pasolini se avesse visitato questa esposizione fra l’eco degli spari e il candore del rumore di una distratta, eterna e ostinata
minzione.