Immagino un transatlantico nei giorni d’oro dei viaggi oceanici – tanto elegante quanto imponente mentre solcava i grandi mari, trasportando viaggiatori tra i continenti. Sopra il ponte, raffinati ristoranti adornati con delicati cristalli e argenteria lucidata. Sotto, gli uomini che alimentavano questo moderno prodigio meccanico, sempre affamato di carburante mentre le sue fornaci ruggenti divoravano montagne di carbone. Pale raschianti, vapore sibilante e un lavoro massacrante; era un’impresa estenuante mantenere in movimento queste città galleggianti.
Nel frattempo, sulla terraferma, circa un secolo dopo, una penisola a forma di stivale che allo stesso modo fende il Mediterraneo è mantenuta a galla da una diversa sorta di sala macchine.
Anche il più piccolo dei paesi ne ha almeno una; le città più grandi possono vantarne persino diversi esempi iconici che da generazioni sostengono la vita quotidiana dei loro abitanti. In queste sale macchine, non si sentono pale raschiare, ma cucchiaini tintinnare sulle tazze mentre prodigi meccanici – alimentati anch’essi dal vapore – versano un elisir, unico nel suo genere, che aiuta ogni italiano ad affrontare un altro lunedì mattina, un’altra riunione, un altro pomeriggio d’estate quando l’aria è immobile e nemmeno i gatti randagi hanno l’energia per sorseggiare acqua dalla fontana più vicina. L’elisir, naturalmente, è l’espresso, e la sala macchine d’Italia è semplicemente nota come “il bar.”
A Roma, a pochi passi dal Pantheon, si trova un “bar” di fama mondiale, che prende il nome dalla chiesa che si erge di fronte: un bar che, da più di ottant’anni, scandisce la vita quotidiana dei romani – dagli operai ai politici – dando loro quella dose di incoraggiamento in formato bicchierino necessaria per andare avanti. Al Bar Sant’Eustachio, tutto funziona come un meccanismo ben oliato, dalla selezione dei migliori caffè brasiliani lungo tutta la filiera produttiva fino al momento in cui un bicchierino fumante di espresso sfiora le labbra del suo ultimo cliente.
A qualsiasi ora del giorno, il locale è un brulicare di clienti; i camerieri sfrecciano portando in equilibrio precario tazze di caffè e pasticcini su vassoi in acciaio inox (non ho ancora trovato un bar in Italia degno di questo nome che non serva i propri clienti con questi vassoi d’acciaio… c’è qualcosa in loro che sa di “casa”). Dietro il bancone, i baristi – maestri artigiani a tutti gli effetti – comunicano silenziosamente con un cenno qui, uno sguardo là. Nel frattempo, le loro braccia si muovono in un flusso continuo e coordinato, quasi fosse una danza, dalla macchina del caffè al vassoio, dal vassoio alla macchina del caffè… e l’espresso scorre ininterrottamente.
Qualche anno fa, ho avuto l’occasione di visitare Sant’Eustachio e fotografare questo spettacolo coreografato mentre si svolgeva davanti ai miei occhi. Sebbene tutto accadesse a una velocità tale da mettere alla prova le capacità anche del fotografo più esperto, spero che queste immagini possano essere a loro modo un tributo alla magia che si ripete ogni giorno nelle innumerevoli sale macchine d’Italia: Il Bar.