In costante lotta con i processi sempre più aggressivi di gentrificazione che stanno interessando molte zone di Brooklyn, a Greenpoint sopravvive un fiero avamposto della comunità polacca di New York, insediatasi qui a partire dalle grandi migrazioni europee di inizio Novecento. Quella che oggi siamo abituati a riconoscere come una zona sempre più trendy e ambita di Brooklyn, affacciata sull’East River appena a nord dell’ormai affermata Williamsburg, ai primi immigrati europei appariva in modo decisamente diverso: periferia paludosa, attraversata da cantieri navali, magazzini industriali, raffinerie e strade fangose dove il lavoro era duro e le condizioni di vita spesso precarie.
Passeggiando per le strade di Greenpoint si percepiscono chiare le anime contrapposte del quartiere. Se si arriva dal fiume, come amo fare io sfruttando il servizio di navigazione NYC Ferry, il primo impatto è con le vetrate di nuovissimi grattacieli che nulla hanno da invidiare a quelli del Financial District: né la vista sullo skyline della città, né i prezzi degli appartamenti in affitto – un lusso che sempre meno persone si possono permettere. L’altro elemento che salta subito all’occhio è il grande murales che si affaccia sul WNYC Transmitter Park: si intitola “Love Me, Love Me Not” e raffigura una bambina circondata da motivi floreali, in uno stile a metà tra il nostalgico e il pop. L’opera è diventata uno dei simboli visivi di Greenpoint, a metà tra memoria e trasformazione, e rappresenta bene il dialogo costante tra passato e presente che attraversa tutto il quartiere. Appena superati i palazzi moderni le case si abbassano, tornano a essere di mattoni e tra un ingresso e l’altro inizia a comparire qualche bandiera bianca e rossa, affermazione tangibile dell’orgoglio polacco e della rivendicazione territoriale che qui è ancora molto sentita.

Ma quando e come si è strutturata la comunità polacca di New York tra queste strade?
L’immigrazione polacca a Greenpoint non è avvenuta in modo uniforme, ma si è articolata in diversi flussi migratori, ognuno legato a momenti storici specifici, sia a livello locale che internazionale. La prima ondata consistente ebbe inizio nel 1903, subito dopo l’apertura del Williamsburg Bridge che, connettendo Brooklyn a Manhattan, facilitò l’arrivo di lavoratori attratti dalla crescita dell’industria manifatturiera e navale sul lungofiume. Molti polacchi, in fuga da povertà e instabilità politica, trovarono qui un’opportunità di riscatto. Nel secondo dopoguerra, nuovi arrivi risposero alla stretta sovietica in patria e negli anni ’80, Greenpoint accolse un’altra importante ondata, questa volta legata alla fuga dalla legge marziale. Con la caduta del comunismo e lo scioglimento del Patto di Varsavia, molti polacchi emigrarono a New York in cerca di una nuova vita. Questi nuovi arrivati si scontrarono talvolta con i polacco-americani già radicati nel quartiere, in una dinamica che ritroviamo ripetuta anche oggi in situazioni analoghe in tutto il mondo. Le differenze culturali e le difficili condizioni abitative generavano tensioni e stereotipi, ma nel tempo la comunità riuscì a consolidarsi, aprendo negozi, ristoranti e attività che trasformarono Greenpoint in quella che ancora oggi viene chiamata “Little Poland”. La comunità polacca sviluppò quindi nel tempo uno stile di vita basato sul principio del “vivere e lavorare nello stesso quartiere”, offrendo tutto ciò di cui si potesse aver bisogno senza doversi spostare altrove. Una delle caratteristiche più significative era il fatto che molti polacchi potevano trascorrere tutta la loro vita a Greenpoint senza mai imparare l’inglese, grazie alla presenza diffusa della lingua polacca nelle insegne dei negozi e nel parlato quotidiano.
Per ritrovare le esperienze autentiche polacche a New York bisogna raggiungere Manhattan Avenue, l’arteria commerciale del quartiere. Storicamente cuore pulsante della vita di Greenpoint, questa strada ha accolto le prime attività aperte dagli immigrati polacchi nel corso del Novecento, diventando un punto di riferimento per generazioni. Ancora oggi, tra negozi di alimentari tradizionali, panetterie e ristoranti familiari, Manhattan Avenue conserva un’identità forte e resistente, simbolo della comunità che qui ha messo radici. Come spesso accade, mi piace esplorare i diversi quartieri della città partendo da una libreria: credo siano la serenità che provo nell’essere circondata dai libri e la familiarità dell’esperienza a offrirmi una base sicura da cui partire e un metodo per organizzare il mio lavoro. Al Polonia Ksiegarnia – parola che, scopro ora, significa libreria – incontro una signora gentile che vedendomi entrare si rivolge a me direttamente in polacco chiedendomi, immagino, se avessi bisogno qualcosa. Le spiego, passando alla lingua inglese, che sto facendo delle ricerche per un articolo sull’eredità polacca del quartiere e, nonostante preferisca non rilasciare un’intervista, si rivela di grande aiuto nel guidare la mia ricerca. Quello con la libraia è solo il primo di una serie di incontri con persone disponibili nella loro riservatezza che tendono ad approcciare il prossimo nella loro prima lingua e, dopo essersi lamentati della gentrificazione del quartiere, raccontano con orgoglio le storie dei loro luoghi. È in questi brevi scambi che ritrovo quell’attaccamento ai posti, tipico di chi ha vissuto una vita o una parte di essa, diviso tra due paesi e due culture.
Ma torniamo alla nostra libreria, all’882 di Manhattan Avenue, dove gli scaffali sono pieni di libri, riviste e oggetti di artigianato tipico che soddisfano ogni necessità di adulti e bambini. Una piccola lavagnetta è carica di calamite che celebrano l’orgoglio polacco – sarebbero perfette per la mia collezione! – e l’ambiente è ancora decorato con gli alberi di Pasqua addobbati con le uova decorate come da tradizione centro e nordeuropea. Qui scopro l’esistenza di un centro culturale attivissimo, basato a pochi isolati di distanza, e di una pubblicazione, il Kurier Plus, rigorosamente in lingua madre senza traduzioni in inglese, che settimanalmente aggiorna la comunità su eventi e notizie locali e provenienti da oltre oceano. Faccio lo sforzo di ricordare che non ho mai in realtà lasciato New York quando entro in uno dei tanti supermercati, poco distanti dalla libreria, dove la merce esposta parla di nuovo unicamente polacco: peperoni di Cracovia, farina, tisane, dadi, crauti e infinite varietà di cetrioli sottaceto sono solo alcune delle specialità che si possono trovare qui dentro! Perfino i detersivi e le medicine sono prodotti di importazione. Dal supermercato ai negozi di alimentari il passo è breve – letteralmente dato che si trova tutto a brevissima distanza – e quindi le tappe da non perdere sono il Nassau Meat Market e Polam Meat Market, macellerie specializzate in kiełbasa, salsicce, insaccati, carni fresche e lavorate e stinchi di maiale, e le pasticcerie come Polka Dot Cafè (ex macelleria, ora ristorante) e Cafè Riviera, affollatissime nei giorni di festa e frequentate quasi unicamente da local. E non a caso parliamo di macellerie e pasticcerie: le tradizioni gastronomiche polacche sono uno degli aspetti culturali meglio conservati, arricchite dall’abbondanza e varietà di ingredienti disponibili negli Stati Uniti. La cucina polacca si basa su piatti di carne, zuppe, patate, pasta, gnocchi (pierogi), cereali, conserve, sottaceti e cavolo. La carne occupa un ruolo centrale, e tra i dolci tipici si distinguono i pączki (ciambelle fritte) e i chruściki (dolcetti fritti e zuccherati, simili alle chiacchiere). Ognuno ha i propri posti di riferimento, proprio come a “casa” ma se si tratta di scegliere il migliore ristorante polacco di Greenpoint non ci sono dubbi: è Pierozec a offrire i migliori pierogi polacchi di New York!

Nonostante le trasformazioni urbane e le nuove influenze culturali che hanno investito Greenpoint negli ultimi decenni, esiste ancora un forte sforzo, da parte della comunità polacca, di preservare l’autenticità delle proprie radici. Uno degli elementi che continua a fungere da collante identitario è la religione, cattolica, che resta profondamente radicata nella vita quotidiana di molti residenti. La Chiesa di San Stanislao Kostka, fondata nel 1896, è tuttora un punto di riferimento non solo spirituale, ma anche sociale: qui si tengono messe in lingua polacca, celebrazioni tradizionali e attività comunitarie che mantengono vivo il senso di appartenenza. Anche nelle nuove generazioni, spesso nate o cresciute a New York, la partecipazione ai riti religiosi è un modo per rimanere connessi alla cultura d’origine. Non è raro, passeggiando per il quartiere, imbattersi in immagini di Papa Giovanni Paolo II, amatissimo simbolo della fede cattolica polacca e figura ancora oggi venerata con profondo affetto. E il caso ha voluto che io fossi proprio da queste parti quando è arrivata la fumata bianca che ha visto eletto il nuovo Papa Leone XIV quasi a voler rappresentare un passaggio di consegna simbolico, nonostante la distanza temporale.
Per chi desidera scoprire l’eredità polacca di Greenpoint, il consiglio è di non rimandare: la gentrificazione sta avanzando rapidamente, ridisegnando il volto del quartiere e modificando lentamente la sua anima. Dopo l’ingresso della Polonia nell’Unione Europea nel 2004, nuove opportunità lavorative in patria hanno frenato l’emigrazione verso gli Stati Uniti, innescando un ritorno significativo anche tra chi aveva fatto di Greenpoint la propria casa. Le botteghe storiche, le panetterie tradizionali e le insegne in polacco resistono ancora, ma il rischio che tutto questo venga presto spazzato via da nuove costruzioni e affitti fuori portata è concreto. Visitare oggi Greenpoint significa cogliere gli ultimi frammenti autentici di una comunità che ha segnato profondamente la storia di Brooklyn e che continua a influenzarne il carattere.
Si chiude così la nostra tappa dedicata alla Polonia nel “Giro del Mondo a New York”. Grazie per averci accompagnato in questo viaggio: ci vediamo presto con una nuova storia, in un nuovo angolo di mondo, senza mai lasciare la città!