Carlo Simi, l’architetto del cinema

Per comprendere chi fosse Carlo Simi dobbiamo pensare al cinema non nella sua apparenza. Dobbiamo andare dietro le quinte, là dove si concretizza la sua vera essenza, la sua anima, ciò che crea la magia.

È una mattina di mezza estate quella in cui Giuditta Simi mi accoglie nella sua casa di Roma. Siamo all’ombra della Cupola di San Pietro, in una città quasi del tutto svuotata dal caldo e con il canto incessante delle cicale. Prendiamo un caffè sedute ad un tavolo coperto da disegni e dettagli della biografia del papà, Carlo Simi. Ci lavora da tanto e tiene a dirmi che è la biografia non solo dello scenografo, ma soprattutto dell’uomo. 

Per comprendere chi fosse Carlo Simi dobbiamo pensare al cinema non nella sua apparenza. Dobbiamo andare dietro le quinte, là dove si concretizza la sua vera essenza, la sua anima, ciò che crea la magia. Classe 1924, Carlo Simi nasce come architetto. Probabilmente non avrebbe mai immaginato il percorso che lo avrebbe reso un’eccellenza del cinema mondiale, ma alle volte ci sono vite che hanno forme inaspettate e, solo chi ha una visione come lui, può rendere quel percorso unico. Quando alla Facoltà di Architettura di Valle Giulia scelse tra i corsi la scenografia teatrale, questo determinò in parte il suo destino. Gli incontri che seguirono fecero il resto. 

Del cinema, all’inizio, disse che non pensava potesse avere tanti valori. Poteva disegnare scene e al tempo stesso conoscere grandi personaggi. Unire la realtà alla magia attraverso l’architettura. Le mura non in quanto tali, ma con soglie da varcare che ti portano dentro al sogno. 

Siamo nella Roma della rinascita dal dopoguerra, nel 1964, quando Carlo Simi incontra per la prima volta il regista Sergio Leone. Aveva già lavorato per altri come Franco Giraldi e Sergio Corbucci, ma da un anno era tornato a fare il puro mestiere dell’architetto. Arrigo Colombo, produttore dell’epoca e fondatore della Jolly Film, gli aveva affidato la ristrutturazione della sua casa e Carlo Simi lo andò ad incontrare durante una riunione di lavoro che Colombo aveva con Sergio Leone. Erano già passati diversi anni dalla fine del conflitto mondiale, ma l’Italia era un’esplosione senza fine di genio e creatività in cui tutto sembrava possibile. 

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Si trovò davanti ad un tavolo con disegni ed elaborati pronti alla creazione di “Per un pugno di dollari”, un film che di lì a poco sarebbe diventato leggenda. Carlo Simi in disparte ad ascoltare, ma attento a cogliere il dialogo attraverso ogni sfumatura. Inaspettatamente, a voce alta e quasi senza accorgersene, davanti al produttore e al regista disse senza filtri che trovava quei disegni e studi assolutamente non adatti ad una scenografia di quel genere. Il commento generò un momento di gelo. La voce, tuttavia, fu talmente autorevole che, pur non sapendo chi fosse, Sergio Leone lo mise alla prova e, in 20 minuti, Carlo Simi gli dimostrò cosa voleva dire creare una scenografia per un film western. 

Di “Per un pugno di dollari” Carlo Simi seguì scene, costumi e arredamenti. Nacque un vero e proprio genere cinematografico a cui si unirono altre pellicole come “Per qualche dollaro in più”, “Il buono, il brutto, il cattivo”, “C’era una volta il west”. Da quella sera, Carlo Simi e Sergio Leone instaurarono un rapporto di stima e di affetto che proseguì per tutta la vita. Il grande compositore Ennio Morricone disse un giorno “Sergio Leone immaginava una favola, Carlo Simi ci erigeva uno spazio attorno e io lo riempivo di musica. Era così che funzionava”. Era così che funzionava nell’epoca in cui tutto sembrava possibile. 

Passarono gli anni, anni di collaborazioni continue e di grande successo, e fu proprio questo idillio che li portò alla creazione di quello che ad oggi è riconosciuto come un capolavoro del cinema mondiale, “C’era una volta in America”. La regia di Sergio Leone, come protagonisti Robert De Niro affiancato da James Woods, Elizabeth McGovern e altri volti eccellenti del Cinema. La musica di Ennio Morricone che accompagna la storia del soggetto di Harry Grey. Gli abiti di Gabriella Pescucci. La scenografia di Carlo Simi. 

Se è vero che il cinema è la settima arte in grado di unire l’estensione dello spazio e la dimensione del tempo, possiamo dire che, in quegli anni e più di chiunque altro, Carlo Simi fu colui che seppe elevare il concetto di scenografia e questo film ne fu una testimonianza. La sua abilità era quella di saper reinventare i luoghi, prestando la realtà alla fantasia e al racconto. Ricostruì a Roma negli studi di Cinecittà l’intero set di Washington Street, la strada di Brooklyn che nella realtà è sotto il William’s Bridge e attorno alla quale ruota tutta la storia. È il luogo in cui si collegano il passato e il presente con il fascino degli anni 30’. Andò in America e tornò con centinaia di foto che aiutassero lui e le maestranze a ricostruire quella strada con il sapore e l’estetica dell’epoca del racconto. 

Furono costruite a Roma le facciate finte da applicare ai nuovi edifici, così come tutti gli elementi urbani. Non tutto si poteva girare a New York per cui decise di creare due scene gemelle, una in America e una a Roma. Gemelle le facciate dei palazzi, ma anche i tombini, i dettagli di ogni angolo. Prese nota addirittura degli orari per poter avere lo stesso gioco di ombre in modo che, nel montaggio, non si percepisse la differenza. Lo assemblò a Roma per capire se corretto, lo smontò e lo spedì a New York dove lo rimontò di nuovo. 

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I disegni di Carlo Simi erano delle metafore perfette del racconto del film, quasi un secondo racconto destinato a quelle maestranze che avrebbero poi dovuto dar forma alla trama. Disegnava la scenografia e, al tempo stesso, dava tutte le indicazioni di come costruirle fino ad annotare come e quante viti servissero. L’anima dell’architetto incontrava il sognatore nella costruzione, il visionario che era in lui creava la magia. 

Alfred Hitchcock diceva che “il cinema è il come, non il cosa”. Carlo Simi era in assoluto l’eccellenza del come. Nel suo lavoro riuscì a creare lo sfondo delle emozioni che dalle immagini passavano attraverso i personaggi, la storia, gli sguardi. “Un progettista dei Sogni”, come titola la sua biografia scritta da Andrea B.Nardi. 

Il 7 Novembre 2024, ricorrerà l’anniversario dei 100 anni dalla sua nascita. La biografia che la figlia Giuditta ha curato con immenso amore sarà presentata all’Almería Western Film Festival e sarà pubblicata dal Centro Sperimentale, un omaggio destinato a pochi. Nell’estate del 2025 sarà dedicato al grande scenografo un Museo a Covarrubias, nella terra dei set dei meravigliosi film western che lo legarono indissolubilmente a Sergio Leone. L’università di Burgos istituirà una cattedra di architettura e cinema a suo nome. 

Quando ho chiesto a Giuditta di parlarmi di questa biografia, mi ha risposto che è prima di tutto la storia di un uomo. Ironico, molto colto, creativo, amante della bellezza, ma con un approccio sempre umile alle cose della vita. Nei suoi ricordi, un uomo che non ha mai rinunciato a condividere il suo pensiero, certo delle sue idee e delle immense capacità che lo hanno reso un fuoriclasse. Carlo Simi era un grande architetto, un immenso scenografo, un uomo indimenticabile ma, soprattutto, citando un’altra celebre pellicola, era suo padre. 

Picture of Beatrice Dell'Aversano

Beatrice Dell'Aversano

Nata nel 1972, con esperienza nell’organizzazione di eventi moda e arte, oggi cura la comunicazione internazionale per un importante brand del lusso globale, unendo passione ed expertise per valorizzarne l’immagine. Appassionata di cinema e arte.

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