J.D. Vance, una panoramica sul candidato vice presidente di Trump

Iper critico nei confronti dei democratici e convinto anti-abortista e anti-LGBTQ, in un'intervista ad un podcast ha dichiarato che, una volta tornato in carica, Trump "dovrebbe licenziare ogni singolo burocrate" e "sostituirli con i nostri".

Nato a Middletown, in Ohio, e laureatosi alla Yale Law School, in Connecticut, James David Vance è l’uomo scelto da Donald Trump come vice presidente per la corsa alla Casa Bianca. Ex marine di trentanove anni, Vance ha scalato da poco le gerarchie repubblicane, soprattutto grazie ai toni aspri con cui si scaglia contro Biden – ed un tempo anche contro Trump -, sia per la sua capacità di raccogliere milioni di dollari di donazioni – per altro nella Silicon Valley, terreno fertile per i Democratici.

Nel 2016 ha pubblicato il libro “Elegia Americana”, un bestseller che spiegava l’appeal di Trump per gli americani in quegli anni. Tuttavia, J.D. Vance era molto diverso nel 2016, rispetto ad ora: innanzitutto era un fervente oppositore di Trump, al punto da scrivere un editoriale sul New York Times intitolato “Mr. Trump è inadatto per la carica più alta della nostra nazione”. In più, era un conservatore moderato, attento soprattutto al rapporto tra classi sociali e stato federale e meno ai diritti sociali.

Quella di J.D. Vance otto anni dopo, invece, è una visione del mondo abbastanza critica che si traduce in un’agenda molto aggressiva in vista del secondo mandato di Donald Trump. Iper critico nei confronti dei democratici e convinto anti-abortista e anti-LGBTQ, in un’intervista ad un podcast ha dichiarato che, una volta tornato in carica, Trump “dovrebbe licenziare ogni singolo burocrate” e “sostituirli con i nostri”, ignorando eventuali tribunali che tentano di fermarlo.

Non è la prima uscita di Vance un po’ fuori dalle righe. Nel corso degli ultimi anni, il senatore Vance si è reso protagonista di parecchie affermazioni e gesti sui generis. Ha recentemente dichiarato che, se fosse stato vicepresidente nel 2020, avrebbe fatto di tutto per aiutare Trump a ribaltare i risultati delle elezioni. E infatti ha anche aiutato a raccogliere fondi per i rivoltosi coinvolti nei fatti del 6 gennaio, che definì “prigionieri politici”.

Nel 2023 provò a chiedere al Dipartimento di Giustizia di investigare su un autore del Washington Post per un articolo critico su Trump e, in occasione dell’attentato a quest’ultimo, ha dato la colpa al linguaggio retorico dei democratici contro il “fascista autoritario” Trump che “va fermato ad ogni costo” – prima che si scoprisse che l’attentatore fosse un sostenitore dei Repubblicani.

Per alcuni analisti politici, comunque, quella di Vance è, in realtà, una metamorfosi di facciata. Il tempismo della sua conversione al MAGA è effettivamente conveniente, giusto in tempo per candidarsi ad un seggio vacante nell’Ohio trumpiano. E che creda davvero a quello che dice è abbastanza secondario, come spesso ci abituano i politici vicini alle posizioni populiste e ultra conservatrici.

Oltre questa visione, però, sempre gli analisti sostengono che Vance sia un grande catalizzatore capace attirare a sé tutti i movimenti civili di destra ed estrema destra, oltre a buona parte dell’ala politica più conservatrice. Steve Bannon, principale consigliere di Trump – attualmente detenuto in carcere – ha parlato di Vance come un “centro nevralgico” dei movimenti di destra.

Non c’è dubbio, insomma, che la vice presidenza di Vance non possa che essere strumentale a creare un ulteriore canale diretto con la destra americana ed estera – il rapporto con Viktor Orban è costellato di parole al miele. Probabilmente, quella di Vance è la figura ideale per gli impulsi radicali di Trump.

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