Mentre la campagna elettorale per il prossimo sindaco di New York entra nel vivo, un tema cruciale per la vita quotidiana di milioni di residenti è sorprendentemente assente dal dibattito: la scuola pubblica. In una città dove il sistema scolastico serve più studenti dell’intera popolazione di San Francisco e gestisce un bilancio di oltre 40 miliardi di dollari, nessuno dei principali candidati ha presentato un piano dettagliato dedicato all’istruzione primaria e secondaria.
Le pagine ufficiali delle campagne elettorali dei candidati spendono in media appena 75 parole per parlare di scuola. In un contesto in cui le conseguenze della pandemia sono ancora evidenti, soprattutto tra i più giovani, la parola “pandemia” è praticamente assente dai programmi. Questo silenzio arriva nonostante un recente rapporto federale abbia evidenziato un preoccupante calo delle competenze in lettura e matematica tra gli studenti con i risultati più bassi.
Le criticità sono molteplici: oltre un terzo degli studenti ha saltato almeno il 10% dei giorni scolastici nell’ultimo anno, e l’aumento dell’iscrizione di alunni che stanno ancora imparando l’inglese non è accompagnato da un’adeguata presenza di personale bilingue. Le proposte politiche, però, faticano a rispondere a queste urgenze. Il tema della desegregazione, che rimane un nodo cruciale per ridurre il divario nei risultati scolastici tra studenti di diversa origine sociale ed etnica, è del tutto assente.
David Bloomfield, professore di diritto ed economia dell’istruzione alla City University of New York, ha definito questa marginalizzazione dell’istruzione «sconvolgente». Secondo Bloomfield, è difficile comprendere come un tema che assorbe una fetta così grande del bilancio cittadino e incide direttamente sulla qualità della vita delle famiglie non sia centrale nel dibattito elettorale. Anche Marielys Divanne, direttrice di Educators for Excellence-New York, ha espresso preoccupazione: «C’è molto in gioco, e ignorarlo è un’occasione persa».
Alcuni candidati hanno promesso investimenti nei servizi sociali scolastici o programmi per orientare i giovani al lavoro, ma mancano strategie organiche che affrontino il percorso educativo dalla scuola pubblica, dalla materna fino alle superiori. Solo pochi — come Scott Stringer e Zellnor Myrie — hanno legato le loro proposte per l’infanzia a potenziali benefici in termini di risultati scolastici, ma si tratta ancora di misure isolate.
Il contrasto con le precedenti amministrazioni è netto. Michael Bloomberg fece della riforma scolastica un elemento centrale del suo mandato, mentre Bill de Blasio lanciò l’asilo gratuito per tutti i bambini di 4 anni, divenuto un modello a livello nazionale. L’attuale sindaco Eric Adams ha introdotto nuovi programmi di lettura, ma non ha mantenuto la promessa di intervenire in modo sistematico sui bisogni degli studenti con dislessia.
La scarsa attenzione all’istruzione sembra riflettere una tendenza più ampia all’interno del Partito Democratico, che negli ultimi anni ha evitato di affrontare temi divisivi come le scuole charter o i test standardizzati. Secondo Thomas Kane, economista di Harvard, molti esponenti democratici hanno ormai «perso confidenza nel parlare dei risultati scolastici», alimentando la sensazione di un partito distante dalle esigenze della classe media e dei lavoratori.
In un forum recente sull’alfabetizzazione, il deputato Adriano Espaillat ha ricordato quanto sia importante «eleggere un sindaco che metta l’istruzione al primo posto». Per ora, però, la campagna elettorale sembra preferire altri temi, dalla crisi abitativa all’assistenza all’infanzia, lasciando in secondo piano una questione che per molte famiglie rimane fondamentale.