Il cuore artistico di Harlem pulsa più forte che mai. Dopo oltre sette anni riapre Studio Museum in Harlem, storica istituzione museale nel cuore della municipalità che ha ispirato gli artisti più influenti in particolare del 20/o secolo. Fondato nel 1968 al civico 144 West della 125/a strada e chiuso nel 2018 per lavori di rinnovo, il museo, nato per dare spazio e voce alla creatività afroamericana, è risorto in un edificio completamente nuovo di sette piani disegnato da Adjaye Associates (in collaborazione con Cooper Robertson), lo studio architettonico che ha realizzato anche Smithsonian National Museum of African American History and Culture a Washington D.C., in Italia è la mente creativa dietro Kwaeε a Venezia. Per realizzare i lavori del nuovo edificio, che si estende su una superficie di circa 7,620 mq, sono stati raccolti 300 milioni di dollari.

Il ritorno di Studio Museum è il tassello che mancava per dare a Harlem lo spazio culturale che meritava e aprirà di nuovo le sue porte per mostrare tutto il genio afroamericano, passato, presente e futuro. “La riapertura – ha detto la direttrice Thelma Golden – è un’opportunità unica per celebrare quegli artisti che hanno plasmato il lascito di Studio Museum ma anche per sostenere le nuove voci che ridefiniscono l’arte attuale”. Ha inoltre sottolineato che ‘Harlem is Black Culture’ (Harlem è la cultura nera). E sull’edificio non a caso sventola l’African-American Flag di David Hammons, artista afroamericano trapiantato a Harlem che ha partecipato anche alla Biennale di Venezia nel 2003. “La sua opera – ha spiegato Natasha Logan, chief program officer del museo – è un’interpretazione della Stars and Stripes (la bandiera Usa) e usa i colori della bandiera pan africana come simbolo dell’identità e dell’orgoglio ‘Black’. La bandiera nera, rossa e verde fa da emblema per il museo che, appunto, sostiene gli artisti di discendenza africana ed è una forte dichiarazione politica e un simbolo di affermazione culturale”. Ha aggiunto che ogni giorno viene issata la mattina e ammainata (per usare un linguaggio militare, ndr) la sera.

Studio Museum è caratterizzato da undici sezioni e può vantare una collezione composta da oltre 9 mila opere in rappresentanza di circa 800 artisti, copre un arco temporale di 200 anni di storia. Un scalinata monumentale al centro conduce al rooftop con vista spettacolare sullo skyline di New York. La mostra inaugurale riporta al punto di partenza con una celebrazione di Tom Lloyd. L’artista e attivista newyorkese (1929–1996) con le sue ‘Electronic Refractions II’ fu il primo ad avere uno show nel 1968 quando il museo occupava solo lo spazio di un loft sopra un negozio di liquori. Lloyd fu un pioniere nell’usare la luce elettrica come mezzo artistico.
Come nel 1968, a pochi anni dalla fine delle leggi Jim Crow (mirate alla segregazione razziale) e l’approvazione della legge per i diritti civili, e quando Studio Museum si apprestava a diventare la piattaforma per raccontare la storia afro-americana, la riapertura dell’istituzione, 57 anni dopo, avviene in un periodo di pressione politica intorno alle questioni di uguaglianza e diversità, con l’agenda del presidente Trump che va in direzione opposta. In questo contesto, il museo è più che mai una piattaforma necessaria per facilitare un dialogo intergenerazionale tra gli artisti e anche la comunità.




