È morto a 87 anni Nino Benvenuti, uno dei più grandi pugili italiani di sempre. Oro olimpico a Roma nel 1960, campione del mondo tra i pesi superwelter e poi tra i medi, è stato un’icona dello sport e dello spettacolo, un simbolo dell’Italia del boom economico e della fiducia ritrovata. È scomparso a Roma, la città che lo celebrò da giovane atleta e lo accompagnò per tutta la vita pubblica. Benvenuti era nato a Isola d’Istria il 26 aprile 1938, in una terra contesa che lo costrinse a fuggire bambino con la famiglia verso Trieste, dove iniziò a costruire la sua leggenda.
Negli anni Sessanta fu un fenomeno di costume, oltre che sportivo. Bello, loquace, elegante e sicuro di sé, incarnava l’eroe nazionale perfetto: capace di vincere sul ring con intelligenza e stile, e di affascinare fuori dal ring con la sua presenza carismatica. I suoi match al Madison Square Garden di New York contro Emile Griffith, seguiti in piena notte da milioni di italiani, lo trasformarono anche nell’idolo degli emigrati, in un simbolo dell’Italia che voleva farsi rispettare nel mondo. «Nessun campione piace come Nino», scrisse allora la rivista Life.

La sua boxe, interpretata come un’arte fatta di ritmo, eleganza e precisione, rimase per decenni il modello per tutti i pugili italiani venuti dopo di lui. La sua rivalità con Sandro Mazzinghi divise il Paese, mentre il gancio che atterrò il sovietico Radonyak in finale olimpica è rimasto un’icona sportiva italiana. Dopo la fine della carriera si dedicò a molto altro: fece l’attore, partecipò alla vita pubblica, sostenne economicamente amici e colleghi in difficoltà come Emile Griffith e Tiberio Mitri, e visse anche una parentesi umanitaria in India, accanto ai lebbrosi.
Nonostante la popolarità e il successo, la vita di Benvenuti non fu priva di momenti difficili. La crisi familiare, l’allontanamento dai figli del primo matrimonio e, infine, la morte per suicidio del figlio Stefano durante la pandemia segnarono profondamente gli ultimi anni della sua vita. «Il dopo non mi fa paura», disse in un’intervista. Aveva anche confessato di sentirsi sempre più attratto dal bisogno di aiutare chi era rimasto solo, forse anche per restituire qualcosa di quel tanto che la vita gli aveva dato.
Con la sua morte, se ne va una delle ultime grandi figure popolari capaci di rappresentare un Paese intero. Campione sportivo, ma anche culturale, protagonista di un’epoca in cui la boxe era uno spettacolo nazionale e un riscatto sociale.