Vito Grassi: una nuova linfa dall’imprenditoria del Sud

Amministratore delegato di Graded, tra le Energy Service Company italiane più attive nel nostro Paese e all’estero, Vito Grassi è un imprenditore abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno per il futuro e che ama profondamente la sua terra. Ci ha raccontato la sua esperienza e come si coniugano imprenditoria e Mezzogiorno, tra l’innovazione per trattenere i talenti e l’esigenza di lavorare con un approccio sistemico.

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Quali sono le opportunità di fare impresa al Sud?

«Se consideri i gap che ci sono da recuperare, l’opportunità di fare impresa al Sud ha ampissimi spazi di mercato e margini di crescita. Nonostante un contesto che rende poco competitivo il territorio e non mette le aziende nelle migliori condizioni di sostenere la sfida dei mercati, c’è una classe imprenditoriale meridionale che sa attraversare qualunque difficoltà. L’ultimo esempio lo ha fornito il recente appello ZES che ha registrato una notevole vivacità del tessuto imprenditoriale, un grandissimo successo per il Mezzogiorno con un numero di richieste consistente e un importo complessivo fino a qualche tempo fa impensabile.»

Un messaggio importante

«È stato un bel messaggio anche per il Governo: se volete sostenere la crescita al Mezzogiorno, le aziende che ci credono ci sono, sono numerose, sono in tutti i settori e non vedono l’ora. Un bel segnale di fermento. È solo l’ultima controprova per un tessuto imprenditoriale che funziona, che investe, che digitalizza, che aggredisce i mercati internazionali e soprattutto è ambasciatore del Made in Italy nel mondo. Dal manifatturiero all’automotive, passando per l’aerospazio, la farmaceutica, il comparto agroalimentare e per finire il grande spazio dedicato all’economia del mare dove siamo i più forti in Italia, in termini di valore aggiunto e di occupati con tutti gli indicatori in crescita.»

In particolare nel suo settore come sta funzionando?

«Nel mio settore potremmo essere il territorio più fertile in termini di potenzialità di produzione di energia rinnovabile. Non si può avere resa migliore che al Sud per quanto riguarda i pannelli fotovoltaici. È sempre più evidente che il tessuto imprenditoriale è molto attivo, ha abbandonato da tempo logiche di assistenzialismo puro e si sta misurando con le dinamiche del mercato internazionale. Oggi non ci sentiamo secondi a nessuno, figuriamoci se avessimo la possibilità di competere a parità di condizioni.»

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Diciamo che c’è un’inversione di tendenza importante che ci fa ben sperare dal punto di vista imprenditoriale.

«Oggi finalmente si comunicano anche gli aspetti positivi del Mezzogiorno in tutti i settori, non solo imprenditoriali. Chi fa il mio mestiere non potrebbe farlo se non vedesse sempre il bicchiere mezzo pieno e non fosse ottimista sul futuro. Per noi, dall’interno, è cambiato poco negli ultimi anni se non mantenere la barra dritta sugli obiettivi da raggiungere. È cambiata e sta cambiando piuttosto la percezione esterna. Questo aspetto ci fa estremamente piacere se è utile a generare fiducia in chi deve venire a investire dall’estero o da altri territori italiani e rappresenta l’ultima speranza per dare un’accelerazione determinante al completamento delle grandi infrastrutture.»

In Italia e anche al Sud, ci sono imprese e professionisti che lavorano molto con l’estero e in alcuni casi hanno realizzato delle best practice conosciute in tutto il mondo. Per te che hai lavorato anche con gli Stati Uniti, in Africa e in altri continenti, qual è la reputazione e l’approccio dell’imprenditore italiano all’estero?

«Ci sono tante aziende che fanno il loro atto di coraggio quotidiano. Nel senso che si assumono rischi non dovuti alla territorialità, ma all’incertezza del mercato, che è nella natura dell’imprenditoria. Non a caso le aziende italiane in questo sono fortissime e il tessuto medio-piccolo italiano è unico al mondo. È quello che ha reagito a tutte le crisi degli ultimi anni. Nel settore industriale, il nostro gruppo oggi lavora con tante aziende multinazionali di primissimo livello, che hanno avuto e mantengono un grande credito di fiducia in noi. Abbiamo società di diritto inglese, di diritto americano negli Stati Uniti, gestiamo campi di energia fotovoltaica in Romania, lavoriamo negli Emirati, in Kenya. Non è una semplice voglia di internazionalizzazione, fa parte del nostro mestiere non tirarsi indietro. La parte bella ed entusiasmante di fare impresa è questa, dare spazio alla propria creatività, al proprio senso di libertà.»

I tuoi collaboratori sono cresciuti nella tua azienda? Che tipo di formazione c’è sul territorio?

«Tocchi una corda molto cara a me, sono 30 anni da quando sono rimasto senza mio padre e ho seguito la sua impostazione che era quella dei servizi ancora prima della costruzione degli impianti. I servizi hanno generato quella cultura di curare meticolosamente l’efficienza quotidiana degli impianti tecnologici, che ancora oggi fa la differenza con tanti competitor. Per la scelta dei nostri collaboratori abbiamo sempre seguito uno schema di grande sinergia con le università. Una trentina di anni fa, eravamo in stretto contatto con il dipartimento di Fisica Tecnica della Federico II, oggi si chiama dipartimento di Energia, dal quale ci segnalavano i laureati con buoni voti e noi mettevamo a disposizione delle opportunità lavorative con il classico percorso stage e tirocinio e successivamente contratto a tempo determinato o indeterminato. Si è generato nel tempo un rapporto di grande fiducia reciproca, che continua ancora oggi con tanti che, entrati come primo contratto, lavorando ancora con noi. Oggi ci possiamo onorare di avere un management allevato in casa che già guida più del 70% delle nostre attività, ma che guiderà il 100% da qui a pochissimo tempo.»

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Negli ultimi anni si è forse complicata la ricerca del personale, è vero?

«Questo è il tema fondamentale, infatti, trovare risorse qualificate è diventato più difficile per diversi motivi: innanzitutto la denatalità. Nell’ultimo anno per la prima volta, anche al Sud, ci sono state meno nascite. I dati registrano circa un milione di laureati che sono andati via dal Mezzogiorno negli ultimi dieci anni, e per questo urge correre ai ripari.
Uno dei motivi per cui i ragazzi non restano è che le opportunità al Sud rispetto al resto d’Italia non danno totalmente l’impressione che si partecipi a una competizione sana di mercato. Alcuni preferiscono andare all’estero dove la competizione è più cruenta, ma ci si sente più valorizzati, e anche il ritorno economico è più gratificante. E poi c’è un livellamento verso il basso, nel senso che a oggi il contratto collettivo nazionale del lavoro, in particolare quello metalmeccanico, faro irrinunciabile per i diritti dei lavoratori, non garantisce più il potere d’acquisto necessario. Pertanto, per quanto si possa incrementare un livello e dare delle premialità, gli aumenti sono irrisori rispetto alle opportunità che i giovani possono trovare altrove.»

Come pensi si possa risolvere questa criticità?

«Molto possono fare le imprese e noi lavoriamo moltissimo su questo. Servono nuovi modelli organizzativi da parte delle aziende, e noi non siamo da meno, siamo al lavoro e stiamo sperimentando, con l’obiettivo di trasformare le deleghe operative prima in procure e poi in responsabilità dirette di aziende satelliti. Questo permetterebbe al nostro personale, parallelamente al contratto collettivo nazionale, di fare anche da amministratore di società collegate alla casa madre, sia per fascia di mercato e modello di business, sia legalmente. In questo modo proviamo a percorrere un percorso parallelo che possa aprire la strada al conseguimento di incrementi di remunerazione complessiva. L’obiettivo primario è cominciare a trattenere i talenti che già hai in casa. Consolidare il rapporto con chi è oggi sotto contratto, dando un messaggio all’esterno che chi verrà a lavorare con noi potrà usufruire di un sistema che li premia più che da altre parti. Questo fa parte anche della competizione fra imprese. Credo molto in questo progetto che si chiama Orbita Graded e sono curioso di capire, una volta che l’avremo messo a regime, quante aziende collegate e quanti amministratori riusciremo a creare. Sono modelli che non esistono da altre parti, e non c’è nessuno che fornisce formule magiche. Proviamo in questo modo a dare più fiducia a un giovane che approccia al mondo Graded, augurandoci che sarà utile a convincere altri a sceglierci.»

Venendo all’università, a ottobre sarà inaugurata una sede dell’Università Federico II proprio a New York nel cuore di Manhattan. Come accogli questa notizia?

«È un bel messaggio per la comunità italiana a New York, ma anche un messaggio in continuità sulla trasformazione del ruolo delle università all’interno della società. Le università sono veri e propri attori di trasformazione urbana, come è accaduto con Apple Academy nella zona di San Giovanni a Teduccio a Napoli. La sede a New York si apre per i festeggiamenti degli 800 anni di questa Istituzione, tra le più antiche al mondo, e nata appunto su intuizione di Federico II. Proprio per il suo nuovo ruolo però, l’università farà anche da apripista e fattore attrattivo verso i soggetti privati che dovranno in qualche forma aumentare il partenariato con le università, senza la preoccupazione del pericolo che si privatizzi la formazione. Anche alle aziende si sta chiedendo un ruolo che va oltre il classico, in un processo complessivo di trasformazione sociale che sta coinvolgendo tutti, ed a cui partecipiamo con grande entusiasmo e convinzione.»

Come ti immagini il futuro del Mezzogiorno?

«Il patrimonio archeologico, ambientale e culturale del Mezzogiorno con tutte le sue potenzialità non lo scopriamo certo oggi, e infatti l’attrattività turistica è incredibile. Ovviamente non ci si può fermare al solo turismo, che deve essere accompagnato dal sostegno alla manifattura che funziona e alle infrastrutture di collegamento, altrimenti si arriva al paradosso di dover tassare i turisti perché non raggiungano i territori. Occorre una strategia di medio termine che punti realmente sul Mezzogiorno e che vada oltre lo spoil system del passaggio da un governo all’altro. Perché le misure a sostegno non sono mai mancate, però la strategia vera e propria, quella che prevede un focus sul Mezzogiorno come c’è stato magari sulla Germania Est dopo la caduta del muro, quella non c’è stata e ancora non c’è.»

Come si inserisce in questo contesto Bagnoli Futura?

«L’area di Bagnoli diventerà il polmone verde della città con 200 ettari di verde. Sarà impegnativo anche tenerlo ben curato. Per quello che ci riguarda siamo impegnati direttamente nel parco tecnologico ambientale. Circa 30 aziende si trasferiranno in un’area che dopo 16 anni ha ottenuto il permesso di costruzione e dove si prepara il cantiere per iniziare le costruzioni in elevazione. Ci è voluta tutta la pazienza, la determinazione e l’applicazione di chi fa impresa per arrivare a questo punto, ma nei 16 anni il rischio di default è stato altissimo per parecchio tempo. Noi vediamo Bagnoli come una grande opportunità e vediamo che oggi finalmente si sta sbloccando qualcosa, anche nelle aree da bonificare. Il Parco dello Sport potrebbe vedere la luce prima di tutti perché è stato affidato alla Federazione e al Coni. Bagnoli da qui a due anni potrebbe mostrare qualche risultato concreto dopo almeno 25 anni di immobilismo pressoché totale.»

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Mattia Iovane

Giornalista e conduttore televisivo. Ha lavorato diversi anni per le testate giornalistiche del gruppo Mediaset e attualmente collabora con la Rai - Radiotelevisione Italiana.

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