Segni antichi, visioni contemporanee: Arvedo Arvedi racconta la sua nuova mostra a Chicago

Un’esposizione che raccoglie oltre sessanta opere tra figure totemiche, simboli arcaici e colori vibranti: Arvedo Arvedi torna a Chicago con una mostra che intreccia passato e presente, alla ricerca di un linguaggio universale

Dal 16 al 30 giugno, Arvedo Arvedi torna a esporre a Chicago con la personale “LINGUAGGI DIVERSI – Antiche Memorie”, allestita negli spazi della Mooney Foundation. È un ritorno alle origini, in una città che lui stesso definisce «la mia casa artistica», dove, trent’anni fa, iniziò la sua carriera internazionale accanto a John David Mooney. Il titolo della mostra, volutamente sdoppiato, riflette una poetica stratificata. «“LINGUAGGI DIVERSI” rappresenta la mia continua ricerca di un linguaggio personale, mentre “Antiche Memorie” è il cuore tematico di questa esposizione: ho voluto richiamare il simbolismo delle pitture rupestri, quei segni ancestrali che appaiono sorprendentemente simili in culture separate da oceani e millenni».

Guardando le opere esposte, è immediata la sensazione di trovarsi davanti a un racconto primordiale, tradotto però in una grammatica visiva contemporanea. Figure totemiche, guerrieri stilizzati e simboli cosmici emergono su fondali accesi, quasi fluorescenti. «Ho voluto riscoprire un linguaggio che precede le parole», spiega Arvedi. «Viviamo in un mondo dove tutti parlano, ma pochi si comprendono. Tornare ai simboli universali significa recuperare una forma di comunicazione essenziale, immediata, condivisa». È un messaggio che può suonare politico, ma per l’artista l’intento è più profondo: «L’arte interpreta l’attualità, ma va oltre. Serve a unire, non a dividere».

Chicago, dunque, non è solo un luogo espositivo, ma un crocevia biografico e simbolico. «Quando nel 1995 John David Mooney mi invitò a collaborare al progetto “StarDance”, avevo poco più di vent’anni e nessuna consapevolezza di cosa sarebbe successo dopo. Quell’esperienza cambiò tutto», racconta Arvedi. E ora, a trent’anni esatti, torna in quella stessa fondazione per una mostra che definisce «imponente». Sessanta opere distribuite in quattro sezioni, in un percorso che alterna grandi formati a lavori più minuti, tutti realizzati con la consueta tecnica mista su carta e tessuto, in cui il colore viene steso con le mani, pennelli e pipette.

L’esposizione si articola in più sezioni. La prima raccoglie grandi tele che rappresentano i quattro elementi – fuoco, aria, acqua e terra – con figure ispirate alle pitture rupestri degli indiani Hopi e ai famosi disegni della piana di Nazca, in Perù. La seconda sezione ospita gli acquerelli dei “Guerrieri Danzanti”, che riprendono i guerrieri delle incisioni rupestri della Val Camonica e del nord del Sahara. La terza è dedicata ai cosiddetti “Guerrieri dalla testa grande”, figure che, secondo alcune interpretazioni, raffigurano divinità o esseri con elmi a forma di casco, a cui alcuni attribuiscono un’origine extraterrestre. Infine, un’intera sala è riservata al progetto “Arte da Vestire”, con una collezione di pashmine nate da collaborazioni con diverse aziende.

«L’arte è sempre stata un potente strumento di comunicazione e marketing», spiega Arvedi. «Nel progetto “Arte da Vestire” creo pashmine personalizzate per le aziende, pensate come doni esclusivi per i clienti o collaboratori più importanti. Ogni pashmina nasce da un quadro creato appositamente per l’azienda, realizzata in serie limitata e pensata per rafforzare il senso di appartenenza e orgoglio». I tessuti, di grandi dimensioni (140×140 cm), si prestano a più usi: sciarpa, pareo o accessorio da conversazione, grazie anche ai colori vivaci e alle grafiche immediatamente riconoscibili.

Il metodo di lavoro di Arvedi è istintivo ma allo stesso tempo strutturato. «Amo dipingere con le mani, mi piace sporcarmi», racconta. «Mi dà la sensazione di avere un contatto diretto con l’opera. Ovviamente utilizzo anche pennelli e pipette, ma la fisicità del gesto resta per me fondamentale». Le tecniche principali che impiega sono Plaster, Chromolife e MirrorDust, a seconda dell’effetto che vuole ottenere. «Ci sono tre modalità con cui lavoro: la fantasia pura, quando mi lascio guidare dal flusso creativo; la preparazione per le collezioni, dove studio i soggetti e sviluppo bozzetti; e l’arte corporate, dove analizzo i loghi, i colori e i valori dell’azienda prima di creare l’opera».

Per Arvedi una mostra non è mai solo un’esposizione. «Un pittore usa le pareti, ma è importante riempire la stanza con un pubblico variegato. Per questo organizzo sempre eventi collaterali: presentazioni di libri, spettacoli teatrali, incontri aziendali. A Chicago presenteremo l’ultimo libro di Philip Kotler e Gabriele Carboni e ospiteremo un evento privato per un’azienda di progettazione tecnica». Un modo per aprire nuovi spazi di dialogo, tra arte, impresa e pubblico.

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