Rosario Procino: “Con Ribalta ho portato Napoli a New York, senza passaporto e senza nove ore di volo”

New York è una città che accoglie e trasforma. Rosario Procino lo sa bene. Ingegnere delle comunicazioni, arrivato nella Grande Mela nel 1998 per lavorare nel settore delle telecomunicazioni, ha poi scelto di abbracciare il mondo della ristorazione, portando la vera pizza napoletana nel cuore di Manhattan. Fondatore di Ribalta, oggi punto di riferimento per la comunità italiana e ambasciata culturale di Napoli a New York, Rosario ha saputo unire tradizione e innovazione, trasformando un semplice locale in un simbolo di appartenenza e convivialità. In questa intervista Rosario Procino racconta il suo straordinario percorso e i segreti del suo successo.

Sono 25 anni che sei a New York. Hai iniziato in un altro settore e poi sei diventato uno dei pionieri della vera pizza napoletana nella Grande Mela. Come è avvenuto questo cambiamento?
«La mia è stata una trafila molto atipica. Sono arrivato a New York nel 1998 come ingegnere delle comunicazioni. Ho poi cominciato a lavorare con Telecom Italia e successivamente con la Telecom Australiana. Nel 2002 ho iniziato una consulenza per Barilla e due anni dopo ho lasciato le telecomunicazioni per andare a gestire il commerciale della Barilla per la costa orientale degli Stati Uniti. È lì che è iniziata la trasformazione: in quel  periodo, in cui ho avuto a che fare con il settore del food, ho avuto un’ispirazione e ho capito quanto mi mancasse la vera pizza napoletana a New York. Nel 2008, mi sono lanciato in questa avventura, sfidando lo scetticismo generale su un prodotto considerato “troppo napoletano” per i gusti americani. E così è nata la mia prima pizzeria, Keste, che ha avuto un successo immediato e ha contribuito in maniera determinante a dare il via al movimento della pizza napoletana in America.»

Come sei riuscito a far apprezzare agli americani una pizza così diversa da quella a cui erano abituati?
«L’idea era di offrire un’esperienza autentica, senza compromessi. Keste era una pizzeria napoletana in tutto e per tutto: pochi antipasti e una pizza fedele alle regole della tradizione. All’inizio mi davano del pazzo, dicevano che la pizza napoletana non piaceva perché “flaccida” e “molla”. Eppure, già dalla prima sera, abbiamo servito 420 coperti in un locale da 40 posti a sedere. Il segreto? Essere coerenti con l’identità del prodotto e saper creare una comunità intorno al locale. Oggi con Ribalta abbiamo portato questa esperienza a un livello superiore, diventando un vero punto di riferimento per italiani e newyorkesi.»

Ribalta è molto più di una semplice pizzeria. È un luogo di aggregazione, un punto di riferimento per la comunità italiana a New York. Come sei riuscito a costruire tutto questo?
«Un mio ex socio di un altro locale ripeteva sempre che per il successo di un ristorante “si devono allineare le stelle”, nel senso che ci devono essere tutte le componenti: il cibo buono da solo non basta, così come non basta un buon lavoro da pr, ma deve essere amalgamato tutto insieme. La chiave del  successo di Ribalta è stata anche e soprattutto il differenziarsi. Ribalta non è una semplice pizzeria o un ristorante: è un luogo di incontro, un punto di riferimento culturale. Abbiamo creato un ambiente che richiama Napoli senza bisogno di volare nove ore o mostrare un passaporto. L’hospitality è stata interpretata in modo diverso: dalle partite di calcio che trasformano il locale in uno stadio in miniatura, alle serate del venerdì che attirano non solo italiani, ma anche americani affascinati dall’autenticità italiana. Ribalta è diventata la “Casa Italia” a New York perché ha saputo creare comunità. E il calcio ha giocato un ruolo fondamentale in questo: dalle feste per lo Scudetto del Napoli alle celebrazioni per gli Europei del 2021, eventi che hanno radunato migliaia di persone davanti al locale. È questa energia collettiva che ci ha permesso di trasformare Ribalta in qualcosa di unico.»

Come hai gestito la sfida di portare un prodotto così autentico in un mercato così competitivo e diversificato come quello di New York?
«Abbiamo puntato sull’autenticità senza scivolare nel  folkoristico, che alla fine rischia di  scadere  nel clichè, diventando artefatto. A New York ci sono tantissimi ristoranti italiani, ma pochi sono veramente autentici. Ho puntato tutto sulla qualità del prodotto e sulla fedeltà alla tradizione napoletana. Ma non basta solo il buon cibo: serve un’esperienza completa. Ribalta è diventata un luogo di incontro perché non abbiamo mai voluto solo “vendere pizza”. Abbiamo voluto raccontare Napoli, la sua cultura, la sua passione. E gli americani amano questo, amano l’autenticità senza folklore eccessivo, senza stereotipi. Abbiamo puntato su una Napoli elegante, raffinata, quella di Pino Daniele più che di Mario Merola, una Napoli che parla di qualità ed eccellenza. Lo  spirito  napoletano esiste sempre, sarebbe sciocco da parte nostra distaccarci da quel fuoco; con il nostro Club Napoli, per esempio, facciamo “un bordello”, ma una cosa è la vivacità e un’altra è  la volgarità: la  chiave sta nel mantenere sempre viva l’anima napoletana legata alla  felicità e al nostro essere solari.»

Sono molti i vip che vengono al ristorante?
Abbiamo un gran numero  di clienti vip, dagli attori ai politici, italiani e non. In particolare sono molto orgoglioso di aver ospitato per ben due volte la nostra Premier Giorgia Meloni, che è stata entusiasta del ristorante tanto da tornarci. Ho trovato una persona molto umile e gentile, si è interessata molto della nostra attività e del nostro status di italiani all’estero facendoci mille domande. Un vero piacere averla da noi.

New York cambia continuamente. Com’è cambiata la città in questi 25 anni e come ha influenzato la tua attività?
«New York è affascinante proprio per la sua capacità di trasformarsi continuamente. Da quando sono arrivato ho visto almeno cinque o sei versioni diverse della città. Ci sono stati momenti d’oro, come l’era di Bloomberg, e momenti più difficili, come quelli recenti con problemi di sicurezza e degrado. Ma New York ha sempre la capacità di rinascere, e questa è la sua forza. Oggi viviamo un momento di incertezza, ma proprio in questi periodi emergono le nuove tendenze e le nuove idee. Ribalta stesso è nato in un periodo di crisi economica. La capacità di adattarsi ai cambiamenti è fondamentale per sopravvivere e crescere in questa città.»

Hai costruito una vera comunità intorno a Ribalta. Come vedi il futuro della comunità italiana a New York?
«La comunità italiana a New York è grande e forte, ma potrebbe esserlo ancora di più se fosse più unita. A differenza di altre comunità come quella ebraica o latina, gli italiani mantengono un individualismo che a volte li penalizza. Se fossimo più compatti, riusciremmo a valorizzare ancora di più il brand Italia, che oggi è più forte che mai. New York ha una voglia inesauribile di autenticità italiana, non solo nel cibo ma anche nella cultura, nel design e nello stile di vita. Questo è un potenziale enorme, ma dobbiamo imparare a fare squadra.»

Cosa ti riserva il futuro? Immagini un ritorno a Napoli o resterai a New York?
«New York è ormai casa mia, ma Napoli rimane nel cuore. Il sogno è rimbalzare tra Napoli, New York e magari un posto caldo per l’inverno. Non lascerò mai New York, ma continuerò a portare Napoli qui, senza passaporto e senza nove ore di volo. Questo legame è troppo forte per spezzarsi.»

Immagine di Mattia Iovane

Mattia Iovane

Giornalista e conduttore televisivo. Ha lavorato diversi anni per le testate giornalistiche del gruppo Mediaset e attualmente collabora con la Rai - Radiotelevisione Italiana.

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