Ristorazione negli Stati Uniti? Tutta n’ata storia

Francesco, lei vive da circa venti anni negli Stati Uniti, è partito da Napoli per coronare il suo sogno… nel suo caso si tratta di un sogno tipicamente americano, quello cinematografico. Come mai?

Tutto è iniziato nel 2002 quando ho fatto un master di cinema in Italia, e alla fine del percorso formativo sono partito per gli Usa per andare a lavorare Lionsgate Films dove sono stato incaricato dal mio capo di valutare la libreria cinematografica. Dopo questa prima esperienza, molto affascinante, sono stato chiamato da Dino de Laurentiis per lavorare alla Universal.

Diciamo che è riuscito a coronare un sogno che è nel cassetto di tante persone, lavorare negli Usa per fare cinema… e per giunta con un grande produttore cinematografico italiano. Poi come è proseguita la sua carriera?

Dopo l’esperienza con Dino de Laurentiis ho deciso di cambiare settore. Sono stato chiamato dalla Barilla per occuparmi della Academia Barilla, azienda in cui ho lavorato per circa dieci anni occupandomi di importazione di prodotti gastronomici. Quell’esperienza mi ha dato la possibilità di interfacciarmi con i migliori chef stellati tra Los Angeles, San Francisco e Las Vegas e di approfondire il settore enogastronomico. In quel periodo, frequentando ristoranti, alberghi, mi sono appassionato per l’industria dell’hospitality americana.

Ecco, come sono gli Stati Uniti sul fronte dell’ospitalità?

In America c’è una dimensione molto più vasta rispetto all’Italia. Noi siamo abituati ad uscire nei paraggi delle nostre abitazioni e salutare amichevolmente i titolari delle attività che la circondano, mentre negli Usa apparentemente questo manca perché le distanze sono notevoli, le città sono strutturate diversamente dalle nostre, per cui all’inizio può sembrare spiazzante tutto questo, invece, questa esperienza professionale mi ha fatto capire molto riguardo l’ospitalità degli americani e la loro tendenza alla socialità.

Quanto le ha dato l’America sul piano dell’affermazione professionale?

L’America mi ha dato molto. Trasferirsi qui è stata una scelta di vita che ho sentito mia dal primo momento che si è prospettata l’opportunità. Nel 2008, sei anni dopo il mio arrivo, sono riuscito a comprare una casa, alcuni mesi prima del crollo del mercato immobiliare. Sono riuscito a tenerla nonostante a crisi e l’ho ristrutturata piano piano negli anni. Da lì è rinata la mia passione per l’architettura. Da quel momento in poi, tutto è stato più chiaro.

Oggi hai due ristoranti negli Usa, che portano un brand storico, molto conosciuto nel mondo ma soprattutto a Napoli, la storica pizzeria “da Michele”. Come è arrivato a questo?

Prima di dedicarmi alla ristorazione, per un periodo mi sono occupato di ristrutturazioni di case. Ho sempre avuto una grande passione per il design e le costruzioni in generale. Mi piace pensare che le persone possano passare momenti di gioia in posti che ho disegnato io. Alla fine di questa esperienza mi sono trovato davanti a un bivio, o tornavo in Italia per gli affetti, oppure aprivo un ristorante e stavo a contatto con il pubblico. Ho scelto la seconda opzione.

Quali sono le differenze sostanziali tra l’Italia e gli Usa?

L’America è sicuramente più meritocratica dell’Italia, in generale, il mercato del lavoro è più ampio e mobile. Comunque, molto dipende anche da noi stessi. La nostra determinazione, passione, ​impegno e curiosità per andare avanti e realizzare i nostri sogni, sono fattori fondamentali per il nostro cammino. Quest’anno abbiamo aperto il nostro secondo ristornate, con il ​brand “da Michele” nella città di Santa Barbara. E stiamo lavorando all’ apertura del nostro flagship a New York. Una sfida importantissima per la nostra compagnia e per la mia famiglia. Il lavoro e l’impegno sono stati enormi, e siamo fiduciosi e speranzosi in una accoglienza calorosa.

Sulla base della sua vasta esperienza e della carriera fatta negli Usa, quali sono i suoi consigli per chi vuole coronare l’American dream?

Tanta pazienza, sacrificio, determinazione e non abbattersi mai dinanzi alle difficoltà che si ​ presentano. Perché queste non finiscono mai, e crescono soltanto con il crescere degli obiettivi.

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