Professor Giordano, lei ha lasciato Napoli molto giovane, dopo gli studi in Medicina e Chirurgia, per realizzare il “sogno americano” trasferendosi a Philadelphia dove ha fatto una brillante carriera. Perché questa scelta?
La scelta avvenne in maniera molto naturale: già nel corso degli anni di università in medicina e di specializzazione avevo immaginato il mio futuro oltreoceano, dove trascorrevo gran parte dei mesi estivi in vacanze studio.
In quel periodo sono stato affascinato dalla competitività tecnologica e meritocratica tipicamente anglosassone. Successivamente, anche mio padre influenzò la mia scelta: in qualità di anatomopatologo collaborava con prestigiosi istituti di ricerca americani e vedeva nella genetica il futuro della medicina.
Lei è sicuramente uno dei primi cervelli in fuga dall’Italia, ma non ha mai smesso di prestare particolare attenzione al suo territorio di origine. Si discute molto di questo tema negli ultimi anni, ma quali sono i vantaggi di completare la propria formazione e di lavorare negli USA?
Nel nostro Paese, ci sono vantaggi e svantaggi, come ovunque. Tra i vantaggi vi è l’ottimo sistema scolastico in cui, tuttavia, andrebbe implementato l’aspetto pratico in modo da poter mettere a frutto le competenze acquisite nel corso degli anni di studio.
Cosa le ha dato l’America in questi anni?
L’America mi ha offerto molteplici opportunità, soprattutto quella di realizzarmi professionalmente. Il governo americano ha il merito di investire molte risorse sul futuro dei giovani; si tratta di un punto chiave per lo sviluppo e il progresso di un Paese.
Gli americani investono molto nella ricerca scientifica, nei giovani, nella tecnologia, negli elementi che sono la chiave del progresso. Rispetto a quando lei è arrivato negli USA, quanta strada ancora si è percorsa in questa direzione?
Negli Usa l’investimento sui giovani, come quelli sulle tecnologie, è sempre costante e all’avanguardia. Nonostante i momenti di crisi, i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo non sono mai stati soppressi ed è questo quello che rende l’America un paese in grado di competere in tutti i campi. Purtroppo, in Italia la cultura è ancora molto condizionata dalla politica che costituisce la principale fonte del suo sostentamento.
Lei ha aperto le porte della Temple University a tanti giovani medici arrivati da Napoli, come si sentono una volta arrivati a Philadelphia? cosa si aspettano?
Ho realizzato il sogno di costruire un ponte virtuale che unisca l’Italia all’America.
Con il mio programma alla SHRO ho voluto offrire una possibilità di realizzazione alle menti italiane più brillanti.
Mi piace incentivare i giovani a crescere e, oggi, molti miei allievi occupano posizioni rilevanti in centri di ricerca universitari, grandi aziende e multinazionali. La mia missione è la ricerca, credo nei giovani e cerco di creare le giuste condizioni perché sviluppino il proprio talento. I giovani che arrivano nei miei laboratori cercano una possibilità, quella che cerco di offrire.
Cosa rappresenta oggi l’America per un emigrato?
L’America è ancora il grande sogno, non solo per gli italiani e rappresenta una unicità nel mondo per tutte le opportunità che riesce ad offrire per la propria realizzazione.
Quali sono i suoi consigli a chi vuole realizzare il sogno americano?
Consiglio loro di organizzarsi in modo da valorizzare al massimo l’esperienza di studio italiana e non dimenticare mai le proprie radici culturali e, per quanto possibile, di costruire su quelle fondamenta. Poi, suggerisco di fare un’esperienza di lavoro all’estero per misurarsi con realtà differenti. Quella del ricercatore è una professione che richiede rigore e sacrificio che prima o poi schiudono le porte alle gratificazioni.