Efrem Lamesta, content creator italiano trapiantato a New York, è una delle voci più originali del panorama digitale contemporaneo. Con uno stile personale e un forte legame con la sua identità culturale, racconta la metropoli americana sui social, creando nuovi format. Lo abbiamo incontrato per parlare della sua nuova vita a New York, del lavoro da creator, delle sfide e delle opportunità che questo mondo riserva oggi.
Non sei nuovo a New York: sono anni che vai avanti e indietro. Com’è cambiata la tua relazione con la città da quando ci vivi stabilmente? E cosa ti ha spinto a fare il grande passo?
Fin dal primo giorno in cui sono arrivato a New York me ne sono innamorato. Ricordo benissimo quel primo impatto: mi sono detto “mi sa che finirò per vivere qua”. A New York tutto corre velocissimo, ogni giorno succedono mille cose e non ti rendi nemmeno conto di cosa stia davvero accadendo. Ma ogni volta che dovevo andarmene, mi chiedevo: “Come faccio a restare qui?”
Dopo i primi sei mesi in cui ho fatto un daily vlog—un video al giorno—ero totalmente concentrato su quello. Poi ho iniziato a chiedermi: “Voglio davvero vivere qui? Come si fa?” E così ho cominciato a informarmi, a capire come poter restare.
Il mio rapporto con la città, però, in fondo non è cambiato molto. Fin dall’inizio mi sono sentito a casa e continuo a sentirmi così. Oggi ho ottenuto il visto e posso restare a lungo termine, ma non ho ancora del tutto realizzato che vivo davvero qui. Perché negli ultimi anni ho viaggiato tanto, e “casa” cambiava continuamente. Ora, finalmente, il mio posto preferito al mondo è anche casa mia, ed è una sensazione incredibile.
New York continua a darmi la stessa energia, lo stesso entusiasmo, la stessa voglia di fare cose straordinarie. Solo che adesso posso farlo in modo continuativo, perché ci vivo.

Come ti presenteresti oggi a un pubblico americano o italo-americano che non ti conosce? Un creator, un esploratore urbano, un regista?
Mi definisco semplicemente un content creator. Racconto la mia vita a New York, ma attraverso i miei occhi. E quindi attraverso le mie passioni: il cinema, la musica, tutto ciò che fa parte di me. Quello che offro è una visione autentica della città, quella di chi la vive davvero. Non racconto New York da turista, ma da locale. E questo cambia completamente la prospettiva. E non solo New York: anche una parte degli Stati Uniti entra nei miei contenuti.
Quali sono i luoghi di New York a cui sei più legato? In che modo la città riflette, secondo te, un’influenza europea?
Central Park è senza dubbio il mio luogo preferito. Il mio primo appartamento qui, che è anche quello in cui vivo tuttora, si trova accanto al parco, nell’Upper West Side. Quando sono arrivato ero confuso, con tante idee ma nessuna direzione chiara. Le mie passeggiate in mezzo a quella foresta urbana, con gli scorci sulla città, mi hanno sempre dato una forza incredibile.
Camminavo ascoltando musica e mi sentivo creativo, ispirato. Central Park è stato progettato per mostrarti New York nel modo giusto, per farti evadere dal caos e darti un momento di respiro. È un parco divertimenti per l’anima. E quella combinazione tra energia urbana e spazio di pace lo rende unico. Mi ha aiutato a ricaricare le batterie, a fare chiarezza, a ripartire ogni volta con idee nuove.
Hai iniziato il tuo percorso con un daily vlog: un video al giorno. Cosa ti ha insegnato questa esperienza e quali sono state le sfide più grandi nel raccontare una realtà così dinamica?
Mi ha insegnato tantissimo, sia dal punto di vista tecnico che narrativo. All’inizio impiegavo 6-7 ore a montare un video. Dopo sei mesi, ci mettevo la metà del tempo. Ma non era solo una questione di velocità: impari a selezionare i momenti giusti, a costruire una storia coerente e coinvolgente partendo da una giornata qualsiasi.
Ogni video era una storia diversa, anche se la struttura rimaneva più o meno la stessa. Dovevo imparare a scegliere cosa serviva davvero e cosa no, per raccontare nel modo più naturale possibile. L’obiettivo non era solo mostrare New York, ma trasmettere qualcosa: un’informazione, uno stile di vita, un punto di vista.
Avevo una routine ben definita: sveglia alle 7, pubblicazione del video, uscita per girare fino al pomeriggio, rientro, montaggio fino alle 9 o 10 di sera. Ogni settimana era pianificata per avere varietà: due video sul cibo, due lifestyle, uno tecnologico…c’era sempre un bilanciamento. E anche se sapevo in anticipo cosa avrei girato, non sapevo mai cosa sarebbe successo davvero: ogni giornata era un’improvvisazione organizzata.
Non c’è mai stato un momento in cui hai sentito il bisogno di fermarti, di non fare niente?
Durante quei sei mesi, no. La stanchezza c’era, ma mentre lo fai, non la senti fino in fondo. È stato solo dopo, quando mi sono fermato, che ho realizzato quanto fossi sfinito. E ci sono stati momenti di solitudine, di difficoltà. Ero lontano dalla mia famiglia, in un paese nuovo, senza conoscere nessuno.
Poi ho conosciuto persone incredibili, perché New York è anche questo. Ma ho vissuto momenti duri che ho cercato di raccontare con onestà, perché fanno parte della vita. E penso sia importante condividere sia gli alti che i bassi.

Tu sei un content creator italiano che crea contenuti per un pubblico italiano. Cosa manca, secondo te, per entrare in una scena internazionale? E in che modo la tua italianità influisce sul tuo linguaggio estetico e narrativo?
Per raccontare a un pubblico americano, devi cambiare prospettiva. Le nostre radici italiane sono affascinanti per chi non le conosce, ma bisogna saperle tradurre. Se parlo di una pizza qui a New York lamentandomi del prezzo o degli ingredienti, un americano non coglie davvero il senso. Devo trovare un altro modo per raccontarla.
La mia italianità mi ha aiutato molto nel relazionarmi con il pubblico italiano: faccio da tramite tra due culture. Vivo qui come italiano, comprendo le differenze culturali e le traduco per chi guarda dall’Italia. Questo è il valore aggiunto.
Quanto all’estetica, onestamente non saprei dire con precisione in che modo l’italianità l’abbia influenzata. Forse più che altro è l’essere cresciuto con una fortissima esposizione alla cultura americana (film, documentari, serie ambientate a New York). È da lì che nasce il mio fascino per questa città. E poi, ciò che arriva davvero al pubblico è l’emozione. Se sei appassionato di quello che racconti, la gente lo percepisce.
Hai creato relazioni con altri creator o professionisti locali? C’è un’idea di comunità creativa a New York che ti affascina?
Assolutamente sì. La cosa che mi ha colpito di più è quanto gli americani siano aperti a collaborare se vedono qualcosa di interessante in te. Alcuni creator americani mi hanno conosciuto tramite i commenti dei miei follower sotto i loro video. Poi ci siamo sentiti e abbiamo iniziato a collaborare.
Certo, è difficile costruire un rapporto d’amicizia profondo con persone che hanno uno stile di vita diverso. Ma la comunità c’è, ed è basata sul principio del “vinciamo tutti insieme”. Ognuno mette a disposizione le proprie competenze, si cresce insieme. È una contaminazione creativa continua. A volte può sembrare opportunismo, ma non lo è: è collaborazione.
Qual è la forma futura dei tuoi contenuti? Stai pensando a nuovi formati, piattaforme, progetti musicali?
Ci sono diversi progetti in cantiere. Sto lavorando a contenuti in inglese, per raccontare il mio trasferimento a New York non più agli italiani, ma agli americani. È un’area di mercato che, secondo me, è ancora poco esplorata.
Sto anche riprendendo in mano la musica. Uno dei motivi per cui sono venuto a New York, infatti, è stato proprio il lancio della mia prima canzone. È nata da una rottura e dal desiderio di esprimermi in modo diverso rispetto a YouTube. Volevo raccontare me stesso in un altro formato. E la musica è stata una nuova via.
Sono anche molto appassionato di cinema, e l’idea di creare qualcosa in quel mondo mi intriga tantissimo. Ma servono tempo e struttura, soprattutto se vuoi fare tutto bene. Però sì, l’idea è quella: frammentare l’espressione creativa su più piattaforme.
Se potessi raccontare un aspetto di New York che è poco noto o sottovalutato, quale sarebbe?
Tutti conoscono la fama di New York come città frenetica, dove ognuno pensa a sé, tutti corrono, nessuno si ferma. È vero, ed è anche il motivo per cui a me piace tanto. Ma c’è un altro lato, meno raccontato: la solidarietà spontanea.
Capita spessissimo che qualcuno ti aiuti per strada senza che tu lo chieda. Una valigia pesante su per le scale della metro? C’è sempre qualcuno che si ferma ad aiutare. Una signora con il cane impigliato in un ponteggio? Arriva qualcuno che la aiuta, senza esitare. Questa è una delle cose che amo di più di New York: siamo una famiglia enorme, ognuno fa la sua strada, ma se serve una mano, ci siamo.
Pensi che la tua esperienza possa ispirare altri giovani ad andare via? Che responsabilità senti, e che consiglio daresti a chi sogna di trasferirsi a New York o altrove?
Assolutamente sì. Lasciare l’Italia e partire per un posto dove non conosci nessuno è stata una delle cose più dure ma anche più formative della mia vita. E molti me lo dicono: “Sono qui perché ho visto i tuoi video, e mi hai dato il coraggio di provarci”.
Il consiglio che do è di iniziare per gradi, con piccole avventure. Testare il terreno. Ma se c’è la possibilità, partire per un’esperienza all’estero, anche solo per sei mesi, è qualcosa che consiglio a tutti. Ti cambia la vita, ti fa crescere, ti aiuta a capire davvero chi sei e cosa vuoi fare.
Oggi molte aziende iniziano a capire il valore dei content creator. Ma forse siamo vicini a un cambiamento radicale. In che direzione sta andando questo mondo e quali opportunità dovrebbero cogliere le aziende?
La cosa fondamentale è la libertà. Un’azienda che collabora con un creator deve conoscerlo a fondo, capirne il linguaggio, lo stile, la visione. Non basta scegliere in base ai numeri o affidarsi a un’agenzia.
E poi deve fidarsi. Il valore del creator sta nella sua unicità, nel suo modo personale di raccontare. Se lo vincoli troppo, se gli imponi un messaggio precostruito, togli tutto il valore della collaborazione.
Il creator non è un cartellone pubblicitario. È una persona che ha costruito un rapporto con il suo pubblico basato su fiducia e autenticità. Se gli permetti di esprimersi, quel messaggio diventa potentissimo. Altrimenti, meglio fare una pubblicità tradizionale.