Maurizio Pimpinella: «La digitalizzazione dell’economia rappresenta una rivoluzione»

Presidente Pimpinella, qual è il ruolo dell’Italia nello scenario globale dell’economia digitale?

Il nostro Paese rappresenta un punto di riferimento di primo piano per l’economia mondiale in particolare nei settori espressione della macroarea del made in Italy.

La digitalizzazione dell’economia e dei servizi, tuttavia, ci pone la necessità di allontanarci dal modello prettamente manifatturiero e rappresenta una rivoluzione che impone alle aziende, alle amministrazioni pubbliche e ai lavoratori l’assunzione di due processi correlati tra loro: la riqualificazione delle competenze e il loro reindirizzamento verso i settori produttivi di maggiore incidenza di tali tecnologie.

Allo stato attuale, quanto a competenze digitali, l’Italia ricopre, la 18° posizione dell’Indice europeo di digitalizzazione (Desi), in crescita rispetto alla 25° della precedente rilevazione. Tale dato indica immediatamente due fattori: il primo e più importante è che questo mal si concilia con la rilevanza dell’economia italiana. Il secondo fattore mostra che, nonostante una evidente crescita nella serie storica rispetto al recente passato, la strada da percorrere è considerevole. Di conseguenza, si può dire che in merito all’economia digitale l’Italia ha fatto tanta strada e tanti progressi rispetto al passato che la vedevano sistematicamente fanalino di coda nelle classifiche ma è proprio ora che bisogna insistere di più perché come vedremo il digitale è trasversale a tutti i settori abilitando servizi e creando opportunità e posti di lavoro.

Prima di addentrarci ulteriormente su come il digitale può rivelarsi un valore aggiunto in vari settori, vorrei riprendere con lei il concetto della cyber security, considerata come elemento a garanzia dell’economia digitale. Qual è la situazione italiana in tale ambito?

Al momento, la situazione per l’Italia è piuttosto delicata. Il nostro è un Paese da tempo esposto agli attacchi hacker e i più recenti avvenimenti geopolitici ci hanno ulteriormente posto in allerta. Secondo il rapporto Cost of a Data Breach 2024 di IBM, la spesa media globale connessa a una violazione dei dati ha raggiunto i 4,88 milioni di dollari, con un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. Il più alto di sempre. L’Italia si classifica al quinto posto tra i Paesi oggetto dello studio, con una spesa media connessa ai data breach che nel 2024 si è attestata a 4,37 milioni di euro. Si tratta di dati significativi, in linea con le esigenze di tutela del nostro Paese. Un aspetto significativo che va tenuto sempre presente, infatti, è che il processo di trasformazione digitale non è solo destinato a non arrestarsi ma persino ad accelerare e ad essere ancora più pervasivo di quanto già non lo sia oggi. Per questo motivo, senza digitale e senza tecnologia tutto rischia di fermarsi: dai servizi agli investimenti, creando danni potenzialmente irreparabili. Per questo motivo la cybersecurity è garante non solo dell’economia ma anche della società digitale, perché tra l’altro garantisce sulla fiducia dei cittadini.

Detto dello stato dell’arte, del ruolo di tutela e di garante della cybersecurity, rimane a questo punto citare quello che è il terzo elemento di questa disamina: l’identità digitale che è il tramite attraverso il quale i cittadini possono accedere ai servizi (digitali e non) messi a disposizione tanto dalle PA quanto dai soggetti privati.

È esattamente così. L’identità è uno degli elementi cardine dell’economia digitale e da cui dipende l’accesso a tutti i servizi che vengono erogati tramite piattaforme, ma anche quelli fisici come una fornitura di energia elettrica ad esempio.

L’entrata in vigore del regolamento eIDAS2 lo scorso 20 maggio 2024 da una parte (con la previsione dell’EUDI wallet) e l’ingresso nell’ordinamento nazionale del Data Governance Act dall’altra impongono la riconsiderazione delle prerogative in tema di gestione del dato personale, mettendo anche a disposizione delle imprese opportunità di condivisione e di valorizzazione dello stesso prima mai sondate. In Italia poi, siamo partiti prima di altri partner europei con l’IT Wallet che permette il caricamento di alcuni documenti di identità ma sono in fase di avvio anche progetti in forma consortile che mettono a fattor comune pubblico e privato con l’intento di valorizzare l’identità digitale e di condividerla per creare valore, semplificare le procedure e risparmiare sui costi in capo alle imprese e ai cittadini.

Come diceva giustamente, la trasformazione digitale è un fenomeno trasversale a tutti i settori, dall’economia alla pubblica amministrazione alla vita civile dei cittadini. Può indicarci quale potrebbe essere il suo ruolo in settori come il turismo e la mobilità?

Turismo e mobilità sono due contesti fortemente connessi tra di loro. Turisti e viaggiatori, infatti, hanno necessità di spostarsi sia dall’estero verso l’Italia sia all’interno del nostro Paese per raggiungere le mete preferite, sia quelle più gettonate sia quelle meno conosciute. È quindi evidente a questo proposito che due siano gli elementi principali che governino questo sistema interconnesso: il primo è rappresentato dalle infrastrutture fisiche e digitali il secondo dall’informazione e dall’accessibilità di attrazioni, siti e strutture ricettive. Le tecnologie digitali possono, infatti, migliorare l’esperienza del turista, aumentare la competitività delle destinazioni turistiche e promuovere la sostenibilità. Secondo uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’innovazione digitale nel settore del turismo potrebbe generare un aumento del PIL del 1,5% e creare 7,2 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2028. La sfida del futuro sarà rendere il turismo in Italia di maggiore qualità, preservare i territori e valorizzandoli mettendo in luce la tradizionale ospitalità nostrana. Questo aspetto non può essere ignorato in un paese come l’Italia ricco di cultura, arte, tradizioni e paesaggi. Per quanto riguarda poi la mobilità, bisogna comprendere che questa è assonante con due concetti strettamente legati tra loro: sostenibilità e de fossilizzazione. La mobilità sta cambiando, meno proprietà e più condivisione. In un certo senso, stiamo in parte superando al contempo sia il concetto di auto (o mezzo di trasporto) di proprietà sia quello di mezzo pubblico. La scelta, soprattutto nelle grandi città, oggi si orienta verso soluzioni autonome ma condivise. Se vogliamo cogliere le opportunità offerte dal Pnrr dobbiamo farlo pensando a migliorare la qualità della vita di tutti. Per questo è importantissimo prestare la massima attenzione alla sostenibilità economica delle nuove opere, ed è fondamentale lo sfruttamento delle tecnologie digitali che abilitano le soluzioni che innovano, semplificano e snelliscono. Ciò che al contempo può comportare anche un risparmio economico rispetto alla realizzazione di alcune grandi opere che rischiano di rimanere “cattedrali nel deserto”. Da questo punto di vista, in Italia siamo pronti: abbiamo le competenze, le professionalità e le tecnologie per innovare e per raccogliere le sfide della digitalizzazione. All’estero il nostro made in Italy è competitivo e apprezzato. Di pari passo, tuttavia, non è pensabile procedere senza un progressivo, anche se non immediato, adeguamento infrastrutturale delle città, riconcepite in forma smart per accogliere una mobilità che cambia e si evolve rispetto al passato, offrendo maggiori soluzioni innovative.

Il settore finanziario poi è particolarmente permeabile all’innovazione, qual è l’impatto del digitale in tale contesto?

Negli ultimi quindi anni, il settore finanziario ha vissuto un’accelerazione in termini di innovazione che non aveva visto nei precedenti 50. L’avvento del fintech – favorito dalle riforme normative e proprio dall’innovazione tecnologica – hanno fatto sì che alle istituzioni finanziarie tradizionali si affiancassero quelle di nuova concezione, orientando la propria attività sempre più verso la soddisfazione del cliente. L’Open banking e l’open finance sono i contenti in cui per prima è stato compreso (e utilizzato) il valore dei dati sia per offrire servizi personalizzati e in linea con le aspettative dei clienti sia per implementare strategie di sviluppo in base alle informazioni raccolte. In questo contesto poi, il settore dei pagamenti digitali rappresenta una specifica che fa da cartina di tornasole per l’intero settore finanziario. I pagamenti elettronici sono, infatti, uno degli ambiti in cui l’impronta del digitale è più evidente. Secondo uno studio del McKinsey Global Institute, l’adozione diffusa dei pagamenti elettronici potrebbe generare un aumento del PIL globale del 0,4% all’anno che in periodi di crescita (quando pure questa si verifica) dello  0  virgola  rappresenta  un  boost  notevole  di  cui  si  dovrebbe tenere conto. Quando parliamo di pagamenti elettronici e di finanza digitale, parliamo di servizi che favoriscono l’innovazione, il lavoro, le opportunità di crescita e lo sviluppo di nuove condizioni di benessere. Dal car sharing all’e-commerce, dalla cena a domicilio ai servizi di booking, tutti sono servizi abilitati dai pagamenti elettronici. L’industria dei pagamenti inoltre rappresenta uno dei pochi ecosistemi in grado di attrarre giovani talenti e creare attivamente posti di lavoro il che non rappresenta certo un dettaglio ma che in Italia va rapportata al grado di alfabetizzazione digitale con cui ho esordito e che non riguarda solo i fruitori di servizi ma anche quelli che sono chiamati a crearli e ad erogarli. La frase  che  meglio  esemplifica  il  loro supporto  al  mondo  attuale  è  che l’economia digitale di fatto non potrebbe esistere senza di essi.

L’intelligenza artificiale è la tecnologia del momento quale può essere il suo impatto in Italia, bisogna più temerla o assecondarla?

Iniziamo col dire che si teme ciò che non si conosce, e questo è il vero problema non solo dell’Italia ma di tutti i paesi. L’IA non deve né spaventare né essere un ulteriore strumento di ampliamento dei gap e delle disuguaglianze è, invece, uno strumento al servizio dell’essere umano ed è in ciò che subentra il ruolo dell’alfabetizzazione per cui ci dobbiamo impegnare a formare meglio e di più le persone a governare le macchine e non instillare loro il dubbio di essere sostituiti. Se il digitale è trasversale a tutti i settori, potenzialmente l’intelligenza artificiale lo è ancora di più. Secondo una ricerca condotta da Deloitte, il mercato dell’IA è destinato a crescere del 20% annuo fino a tutto il 2025, raggiungendo un valore di 190 miliardi di dollari.  Nello specifico, il supporto della AI può essere un aiuto operativo a imprese, amministrazioni pubbliche,  sindaci  e  cittadini  nei  processi  di  semplificazione amministrativa e operativa e nei processi di accelerazione  e di miglioramento della brand reputation, soprattutto per quanto riguarda gli enti locali e le imprese dislocate sul territorio.

L’intelligenza artificiale è un’alleata e non una nemica, può offrire un supporto significativo allo sviluppo dell’economia digitale, fornendo strumenti e tecnologie avanzate per l’analisi dei dati, l’automazione dei processi, la creazione di nuovi prodotti e servizi, e l’ottimizzazione delle operazioni aziendali. Le applicazioni dell’IA sono diverse e si estendono a molteplici settori, dal commercio elettronico alla produzione industriale, dal marketing alla finanza.

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