Giusto Priola: quando l’originalità diventa il segreto vincente

Dalla pasticceria di famiglia a Brooklyn ai ristoranti nel cuore di Manhattan, la storia di Giusto Priola racconta come rimanere fedeli alla cucina italiana – senza cedere alle scorciatoie dell’italo-americanizzazione – possa diventare la chiave per costruire qualcosa che dura nel tempo

Giusto Priola nel suo ristorante

Giusto Priola è arrivato a New York a 27 anni. Alle spalle, una famiglia che già lavorava nel settore della ristorazione a Brooklyn: una pasticceria, un panificio. «Ho iniziato a lavorare con loro, con un permesso di tre mesi». Poi, un incontro fortuito con una signora della Federazione Italiana, Anita, lo spinge a tentare la famosa lotteria per la green card. La vince. «Appena arrivato, ho vinto! C’erano persone che erano qui da dieci anni e non ci erano mai riuscite. Io al secondo mese…». Ma precisa subito: «Non sono qui perché ho vinto la green card. Io volevo restare. La green card è stata solo un supporto».

Viene da Misilmeri, in provincia di Palermo. Dopo due anni nella pasticceria di famiglia, apre un laboratorio di dolci per ristoranti. «Ma era troppo faticoso. Lavoravo troppo, ho deciso di smettere». Poi l’occasione: uno studio fotografico tra i più importanti al mondo, il Pier 59. «All’interno c’era un ristorante. Ho iniziato in caffetteria, dopo un anno ero manager».

Al settimo anno, l’apertura del suo primo ristorante: Cacio e Pepe. «Siamo ancora aperti, da ventun anni. Che per New York è tantissimo». Dopo il Covid, un nuovo progetto: Pasta Eater. «È nato negli Stati Uniti per gli Stati Uniti, ma le materie prime arrivano tutte dall’Italia. La pasta è il nostro fiore all’occhiello – qualcuno si offende perché dice che abbiamo anche Michelangelo, ma qui parliamo di cibo».
Di recente ha aperto anche Pasta Eater and Go, per il solo take-away, sulla 59ª strada.

Quando gli si chiede come sia cambiata la percezione della cucina italiana, Giusto Priola è netto: «Chi come me è venuto qui da poco cerca l’autenticità. Anche chi è qui da vent’anni non vuole l’italo-americano». E sugli americani: «Molti italiani dicono che non capiscono niente, io non l’ho mai detto. Il newyorkese conosce l’Italia, viaggia, sa scegliere. Quando va a Napoli, cerca la pizza vera. E qui apprezza la cucina autentica».

Il periodo più duro è stato durante la pandemia. «In Italia era un disastro. Le immagini dei camion con le bare… non le dimenticherò mai. Avevo paura. Avevo lavorato tanto ma non avevo ancora nulla di mio». Poi sono arrivati gli aiuti: «Per mesi non ho pagato affitto. Quando ho riaperto, per quattro mesi ho pagato solo il 50%. Questo ci ha salvato». Ma New York, ammette, non si è mai ripresa del tutto: «Gli affitti sono alti, molti lavorano da casa e si spostano fuori Manhattan. Però qualcosa si muove: a pranzo lavoriamo molto di più rispetto a prima».

Il segreto del successo per Giusto Priola? «Essere autentici. Non snaturarsi. Se fai gli spaghetti con le polpette per l’americano, poi l’italiano accanto storce il naso. Noi facciamo tutto in casa: pasta, pane, dolci. Offriamo anche piatti inusuali per il pubblico americano, come il ragù bianco di agnello. All’inizio li spiazza, poi lo apprezzano».

E l’errore più comune per un italiano che prova ad aprire un’attività a New York? «Pensare che l’americano non capisca nulla. Se la pensi così, è meglio non venire. L’americano ci apprezza, se restiamo fedeli alla nostra identità».

Nel menù, c’è un piatto simbolo: la Pasta Giusto. «Una fettuccina con burro, parmigiano e prosciutto, mantecata nella forma di parmigiano. Ma facciamo anche pasta ai frutti di mare, ragù di cinghiale, parmigiana con melanzane fritte».

E se dopo tanti anni la città non lo ha ancora stancato, è per una ragione molto semplice: «L’energia di New York non mi stanca mai. Io ho scelto questa città. E continuo a sceglierla».

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