Parliamo di un’eccellenza italiana amata in tutto il mondo, il tempio della musica. Un luogo che affascina non solo chiunque vi entri. Non si può non apprezzare la scelta del tenore veronese Giovanni Zenatello che la scelse come teatro, dall’acustica perfetta, per celebrare nel 1913 il centesimo anniversario della nascita di Giuseppe Verdi. Un successo strepitoso. Così nacque il più grande teatro lirico all’aperto del mondo.
Come ci racconta il suo bisnipote omonimo, imprenditore del turismo veronese che vive a Verona: zio Giovanni aveva aperto a New York una scuola di canto per far scritturare gli artisti europei negli Stati Uniti… In quella scuola si presentò un giorno una ragazza che accompagnava al piano la moglie di un famoso avvocato newyorkese che cercava una scrittura dal grande tenore: lo zio scartò la signora e, dopo averla ascoltata, scritturò immediatamente la ragazza, per farla cantare all’Arena di Verona. Era Maria Callas. Lei arrivò all’Hotel Accademia di Verona dove visse con la mia famiglia per diversi mesi. Non aveva nulla, proprio nulla, se non un talento stellare (e un bel caratterino).
Ma chi era Giovanni Zenatello? Non solo tenore ma impresario, un uomo straordinario, figlio di panettieri a Verona, che fin da giovane aveva manifestato una passione profonda per il canto e non certo per la bottega di famiglia. Così partì alla volta di Milano, in cerca di scritture: con la valigia di cartone. Fece la fame, quella vera ha aggiunto suo nipote.
Mio prozio venne soprannominato il “tenore canarino” perché, per farsi notare, d’inverno indossava un cappotto giallo che poi impegnava al Monte di Pietà per poter mangiare. Fece la gavetta nei teatri minori nel Meridione accontentandosi di sostituzioni come baritono finché non gli capitò l’opportunità di esordire come tenore, e Toscanini si accorse subito delle sue enormi potenzialità (da allora divenne un pupillo del grande maestro). Si trasferì a New York dove il pubblico si divise in due vere tifoserie, chi per Zenatello che cantava al Manhattan, chi per Caruso (col quale ebbe un vero rapporto di stima e amicizia) che cantava al Metropolitan. Divenne un divo internazionale, cantò ovunque con grande successo: Londra; Madrid, Barcellona, Vienna, New York, Buenos Aires, Mosca e nei più grandi teatri del mondo. In Messico Pancho Villa tentò di rapirlo durante una tournee per farlo cantare nel suo accampamento, il barone Rothschild divenne un suo fedele ammiratore, divenne amico del re di Spagna, della regina d’Austria, di Pablo Picasso che passava le vacanze nella villa dello zio Giovanni a Cadaques…. Ma restava sempre un uomo di origini modeste, amante del popolo, della povera gente. Era diventato ricco, famoso, e aveva sempre in mente la sua Verona, la sua città che voleva ricompensare in qualche modo “della fortuna che la vita gli aveva regalato”. E quindi, in uno dei suoi rari (a causa degli impegni artistici) ritorni in città, donò una cifra molto importante al sindaco perché costruisse una scuola di canto per i bambini poveri, ma a lui non bastava. E una sera, seduto in piazza Brà con l’impresario Ottone Rovato, il maestro Serafin e il maestro Cusinati, ebbe un’intuizione geniale, pazzesca: entrò in Arena e fece un acuto dei suoi. Il maestro Serafin confermò che l’acustica, incredibilmente, funzionava, e così mio zio Giovanni nel 1913, in onore di Giuseppe Verdi, inaugurò la prima recita di Aida in Arena. Le cronache dell’epoca impazzirono: arrivarono 25 mila persone, con le barche sull’Adige, a piedi e a cavallo sui carri dalle campagne (intervennero i bersaglieri a sedare le risse, ci furono arresti perché la gente voleva entrare.. in migliaia rimasero in piazza ad ascoltare). All’epoca non c’era la tv, il cinema, il calcio…. Lo zio realizzò il suo sogno: far vivere anche alla povera gente quello che fino ad allora era stato un privilegio solo dei ricchi. Sono stanco di cantare solo davanti alle signore ingioiellate, diceva. Un trionfo, con un impegno economico enorme. Finanziò, racconta sempre il suo bisnipote, molte stagioni di tasca sua, fino ad impegnare quasi tutte le sue sostanze, ma non si arrese.
Oggi Giovanni Zenatello come viene ricordato a Verona?
Tocca un tasto molto dolente. Direi che il detto “nemo profeta in patria” in questo caso si adatta perfettamente alla situazione. Giovanni Zenatello è molto poco ricordato, forse perché la sua storia è poco conosciuta dai veronesi. Io nel mio piccolo, cerco in ogni modo di riportare alla luce questo personaggio per fargli rendere il giusto merito. Davvero mi sarei aspettato di più dalla città, dalle istituzioni e dal quel mondo imprenditoriale che in fondo gli deve moltissimo anche in termini economici. Da quell’agosto del 1913 Verona è uscita dalla sua realtà provinciale. Davvero non c’è cultura della memoria né riconoscenza, e questo è un vero peccato.
Si calcola che la stagione lirica produca un indotto di circa 500 milioni di euro all’anno! Una cifra stratosferica per una città della nostra dimensione. Ogni anno dal 1913, salvo il periodo delle due guerre e del Covid, questo miracolo si ripete, puntuale. Forse per questo, i veronesi lo considerano un evento naturale, come la neve in montagna o il sole al mare, ma non è così. Organizzare e allestire le stagioni liriche è uno sforzo immane, grandioso, difficile. In Fondazione Arena lavorano migliaia di persone. È affascinante conoscere lo sforzo organizzativo e quello che succede per 10 mesi all’anno dietro alle quinte degli spettacoli. Certe scenografie grandiose si possono vedere e gustare solo qui. Zenatello diceva “l’Arena è l’unico teatro al mondo dove la musica si ascolta anche con gli occhi” e aveva ragione. Noi oggi abbiamo la fortuna di avere una sovrintendente che ha riportato l’Arena agli antichi fasti, dopo anni davvero difficili: non posso non citare Cecilia Gasdia, e ringraziarla davvero a nome di tutta la città per quello che ha fatto, che sta facendo e che, mi auguro davvero, continuerà a fare per tanti anni ancora.
Lei, cosa suggerirebbe di fare per rendere omaggio a Giovanni Zenatello, un veronese che ha amato tanto Verona e che ha contribuito a renderla famosa nel mondo…?
Mah… una statua in piazza Brà sarebbe doverosa a mio modesto parere, in modo che tutti i veronesi abbiano modo di ricordarlo e i turisti d’interessarsi alle origini dell’opera in Arena, in subordine mi piacerebbe che ad ogni inizio stagione lirica, alla prima dell’opera, almeno venisse ricordato l’ideatore di ciò che di lì a poco verrà messo in scena. – E ha concluso: – Accetterei qualsiasi – serio – suggerimento per rendere giusto omaggio a questo pazzo visionario che ha reso famosa la sua città.