Da Roma a New York, passando per una cantina che profuma di casa. Mattia Moliterni, imprenditore e socio del mondo Roscioli, racconta il percorso che lo ha portato ad aprire un ristorante italiano autentico nella Grande Mela. Tra avviamenti, selezioni gastronomiche e ricerca ostinata della qualità, Moliterni racconta una delle esperienze più impegnative — e formative — della sua vita.
Raccontaci il tuo percorso: come sei arrivato a lavorare con i Roscioli?
Io sto con i Roscioli dal 2017. Mi hanno chiamato quando stavano aprendo la Rimessa nel 2017, serviva una mano logistica per l’avviamento. Ho fatto il mio lavoro e ci siamo trovati bene. L’apertura è stata facile, veloce, di successo. Al momento del rinnovo, c’era già l’idea di restare insieme, così mi hanno dato delle quote e siamo diventati soci.
Quasi un anno dopo abbiamo deciso di aprire il Wine Club Roscioli. Anche lì mi sono occupato dell’avvio e della logistica. All’inizio facevo un po’ tutto, ora c’è un team più strutturato, ma continuo a occuparmene, anche se più marginalmente.
Come nasce il legame con New York?
Tramite il Wine Club abbiamo cominciato a fare viaggi in America. Non era pensato solo per il mercato americano, ma è diventato così perché per gli europei “Wine Club” può voler dire tante cose. Per un americano è un modello preciso. Quindi, viaggiando negli Stati Uniti, ci siamo appassionati a New York.
Nel 2021 abbiamo fatto una settimana di eventi qui, in vari posti, quattro serate in particolare in questo locale dove ora ci troviamo. Qui abbiamo anche conosciuto Ari Larz, che ora è la nostra socia americana, e parte del suo team con cui abbiamo avviato il ristorante.
È stato facile trovare la location definitiva?
No. Dopo l’evento del 2021, siamo tornati più volte per cercare location. Ari inizialmente ci aveva proposto un altro posto, ma alla fine siamo arrivati a un accordo per questo. La cantina ci ricordava Roma: due sale, stretto, scomodo, il palazzo vecchio… ma ci ha fatto sentire a casa.
Il format qui è un merge tra la Rimessa (tasting) e la Salumeria (à la carte). Dopo le otto tutti mangiano insieme ai tavoli piccoli. È molto Roscioli, nel bene e nel male.
Hai vissuto il “sogno americano”?
Se il sogno americano è lavorare e basta… ma non penso fosse pensato così. Lavoro molto, più che a Roma, dove comunque già non mi rilassavo.
Però c’è una parte che vivo come un sogno: ho energie che non so da dove arrivano. Qui sento che l’industria è più viva, vibrante. Roma è più stabile, più lenta. A New York vivi una competizione sana, ti carica. È faticosa, ma stimolante. Ora mi ci sento dentro, ma so che non può durare così per sempre.
E sul fronte autenticità culinaria? Come vi siete adattati?
In realtà, non ci adattiamo troppo. La clientela è in maggioranza newyorkese, non turisti. E sono persone curiose, anche se non facili. A loro puoi proporre qualcosa di autentico.
La nostra cucina è quella italiana. Facciamo pochi cambi: non posso usare le uova italiane per la carbonara, ma trovo ottimi prodotti locali. Non abbiamo formaggi americani a Roma, ma qui sì, perché ne abbiamo trovati di buoni. Lo stesso per il vino: se trovo un buon australiano, lo metto in carta.
Ci sono piani di espansione?
No, nessuna line-up. Vogliamo rendere questo posto il più stabile possibile, costante nella qualità, rafforzare il team. New York ti ispira, sarebbe bello avere un altro format, ma ora ci concentriamo qui. Vogliamo convincere chi è venuto all’inizio, chi è abituato a una cucina meno autentica, ma curiosa.
Cosa consiglieresti a chi vuole fare lo stesso salto?
Bisogna sapere che qui è più difficile, non più facile. Però se hai passione per questa città o vuoi fare un’esperienza lavorativa vera, lo consiglio. È formativo, impari a lavorare davvero. Ma te la guadagni tutti i giorni. Se non ti sistemi bene, rischi di essere più povero che in Italia.
Il piatto che mette tutti d’accordo?
Non è di quinto quarto, anche se ne sono appassionato. È difficile trovarlo qui, tipo la trippa l’abbiamo cercata ma non abbiamo ancora trovato un prodotto serio.
Un piatto che unisce tutti è “pasta, burro e parmigiano”. Semplice, ma racchiude la nostra filosofia: usare il miglior burro possibile, un parmigiano serio, e tecnica. È confortante, ricco, piace a italiani e americani. È vegetariano, inclusivo. E per noi ha una storia: nasce da una richiesta inaspettata al ristorante, ed è rimasto.