Il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York racconta la sua visione: dal dialogo con le grandi istituzioni americane alla promozione della lingua italiana, fino al soft power e al ruolo della creatività contemporanea. Con la determinazione di un giornalista che oggi interpreta la diplomazia culturale come una missione.
Direttore Pagliara, l’Istituto italiano di cultura, nella sua visione, che ruolo deve interpretare?
L’Istituto deve dialogare con le grandi istituzioni culturali di questa città. Dal Metropolitan all’Opera, dal MoMA alla Carnegie Hall, e naturalmente con tutto il sistema Italia all’estero. Il nostro obiettivo è avvicinare sempre di più chi vive in questa città alla cultura italiana in senso ampio, anche perché le nostre competenze si estendono a tutta la costa orientale degli Stati Uniti. Questo significa rivolgersi non solo agli italiani e agli italoamericani, ma anche e soprattutto agli americani che amano l’Italia. Lo vediamo chiaramente nella crescente domanda di corsi di lingua italiana: è talmente alta che non riusciamo nemmeno a soddisfarla completamente. Abbiamo liste d’attesa e non abbastanza spazi. È un segnale fortissimo di quanto l’Italia e la sua cultura continuino ad affascinare.
Quanta “voglia d’Italia” c’è tra gli americani?
C’è tantissima voglia d’Italia. Lo dimostra il fatto che ogni anno, le grandi istituzioni culturali americane organizzano qualcosa di straordinario legato al nostro Paese. Il Met, per esempio, ha annunciato che in primavera ospiterà la più grande mostra di opere di Raffaello mai realizzata fuori dall’Italia. È un evento di portata eccezionale. L’interesse per la cultura italiana è enorme, e si riflette anche nel turismo: il numero di americani che scelgono l’Italia continua a crescere. Ma non si tratta solo di cultura o vacanze. Anche l’interesse degli imprenditori americani verso il nostro Paese è in forte aumento. Alla NIAF di quest’anno, durante il Gala, saranno presenti tutti i capitani delle principali industrie pubbliche e private italiane — una cosa mai successa prima. È un segno del grande momento che l’Italia sta vivendo qui.
Durante la settimana dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha visitato l’Istituto. Che impatto ha avuto la sua visita?
Il ministro Tajani si è trattenuto a lungo, conosceva già l’Istituto e l’ha visitato con grande interesse. Si è soffermato in particolare sulla mostra “Cortina 1956–2026”, dedicata alle Olimpiadi Invernali che Milano e Cortina ospiteranno tra poco più di un anno. È rimasto colpito da un filmato d’archivio della Rai che mostra come nel 1956 l’emittente si preparò a trasmettere il primo evento sportivo in diretta della sua storia, attraverso una pellicola di chilometri di nastro. Poi, nel corso del suo discorso alla comunità italiana, Tajani ha espresso un forte interesse perché la cultura italiana, in senso ampio, diventi uno dei principali veicoli del nostro soft power negli Stati Uniti. Ha ricordato come l’amicizia tra Italia e America abbia radici profonde. Vale la pena ricordare che tra i padri fondatori americani ci fu anche un italiano, Filippo Mazzei, che contribuì alla stesura della Costituzione. Proprio per questo, nel 2026 racconteremo la storia di questa lunga amicizia: molti degli eventi dell’anno prossimo saranno raccolti sotto un unico ombrello, quello dei 250 anni di amicizia tra Italia e Stati Uniti.
Lei ha alle spalle una lunga carriera da corrispondente all’estero. Quanto conta l’esperienza giornalistica nel suo ruolo attuale?
Conta moltissimo. Ti fa capire che noi italiani, pur avendo a volte la tendenza a essere un po’ autocelebrativi, possiamo dirlo con certezza: siamo una superpotenza culturale. Lo dimostrano i nostri siti Unesco, il nostro patrimonio artistico e architettonico, la nostra creatività. Gli italiani lo sanno bene, ma forse non sempre riusciamo a comunicarlo nel modo giusto.
Ecco, credo che questa sia una delle missioni fondamentali dell’Istituto: promuovere e comunicare al mondo il nostro vantaggio competitivo più grande, quello culturale. Non a caso, la Farnesina ha scelto due giornalisti — uno a Londra e uno qui a New York — per dirigere gli Istituti di Cultura: perché ha capito che oggi non basta fare cose belle, bisogna saperle raccontare.
A chi intende raccontarle?
Agli americani, innanzitutto. Sono loro che vogliamo coinvolgere e sensibilizzare, mostrando qui ciò che di straordinario l’Italia continua a creare e invitandoli poi a scoprirlo di persona nel nostro Paese. C’è un altro punto a cui tengo molto: la creatività italiana non appartiene solo al passato. Non ci sono solo Roma, il Rinascimento o i grandi maestri dell’arte. La nostra eccellenza è viva oggi, nella scienza, nella tecnologia, nel design, nell’innovazione. La Stazione Spaziale Internazionale, per esempio, non esisterebbe senza la tecnologia italiana. E vogliamo raccontare anche questo. A ottobre partirà un ciclo di conferenze intitolato Il coraggio di sognare, in cui inviteremo grandi scienziati italiani che hanno avuto successo qui negli Stati Uniti a condividere la loro esperienza, soprattutto con i giovani, perché imparino a sognare in grande. Il primo ospite sarà Luciano Floridi, direttore del Dipartimento di Etica dell’Intelligenza Artificiale di Yale. Questo è il livello di eccellenza a cui vogliamo guardare.
Ha vissuto in molte città del mondo. Questa è la sua “seconda vita” professionale: quale sarà la terza?
Da corrispondente Rai ho avuto una vita a Parigi, una a Gerusalemme per il Medio Oriente, una a Pechino per la Cina, il Giappone e il Sud-est asiatico, e una qui, tra New York e Washington. Ora questa nuova fase, la considero davvero una grande opportunità. Non penso ancora al dopo. Questo incarico è molto impegnativo e voglio dedicarci tutte le mie energie. È una missione che vivo con gratitudine verso chi mi ha affidato questa responsabilità, e con la determinazione di portarla a termine nel migliore dei modi. Ho grande passione per ciò che sto facendo, e spero di riuscire a dare un contributo concreto alla promozione dell’Italia e della sua cultura negli Stati Uniti.