“La memoria non è solo un ponte con il passato, ma una forza viva che può unire terre lontane e generazioni diverse. Raccontare le storie di chi non c’è più significa riportarli a casa, almeno con le parole”.
Agnese Belardi è una docente di letteratura e storia, scrittrice, poetessa e promotrice culturale della Basilicata. Fondatrice del Salotto Letterario Donata Doni, da anni si dedica alla valorizzazione della memoria storica e letteraria della sua terra, con particolare attenzione alle storie delle donne e della diaspora lucana. Il suo impegno la porta a creare ponti culturali tra l’Italia e New York, rafforzando il legame tra le comunità lucane all’estero e le loro radici attraverso la letteratura e la memoria collettiva. Attraverso il suo impegno, Agnese crea ponti tra generazioni e territori, facendo emergere voci e tradizioni spesso dimenticate. L’abbiamo intervistata per IlNewyorkese.
Agnese, raccontaci del tuo impegno nella promozione culturale in Basilicata e dell’impatto che sta avendo sulla comunità.
Ho insegnato materie letterarie per quarantun anni, dopo essermi laureata in pedagogia, un percorso che mi ha portata anche a ricoprire il ruolo di dirigente scolastica in un istituto sociosanitario. Gli anni dedicati alla formazione dei miei studenti hanno rafforzato in me il desiderio di continuare a promuovere la cultura anche oltre l’insegnamento. Essendo nata e cresciuta al sud, a Lagonegro, nella provincia di Potenza, ho spesso notato e delle volte percepito il peso di un patriarcato radicato, particolarmente nei decenni passati. Ritenevo – e ritengo ancora – che le donne dovessero unirsi per migliorare la propria condizione attraverso il dialogo e la cultura, affrontando temi che toccano la vita quotidiana: figli, scuola, società. Così è nato il Salotto Letterario Donata Doni: un luogo in cui le donne potessero ritrovarsi, condividere le proprie esperienze e dare voce alle loro storie attraverso la letteratura e la creatività. Uno spazio sicuro, in cui la cultura diventa strumento di consapevolezza e cambiamento. Ma soprattutto, questi incontri sono fondamentali per parlare e contrastare un fenomeno drammatico e purtroppo in crescita anche nella nostra regione: il femminicidio.
ll nome del Salotto è dedicato a Donata Doni. Chi era e perché hai deciso di renderle omaggio?
L’associazione, che oggi conta più di cento iscritte, è uno spazio di accoglienza, recupero e inclusione, con l’obiettivo di coinvolgere anche chi solitamente preferisce restare nell’ombra. Il suo nome è un tributo alla poetessa lucana Santina Maccarrone, in arte Donata Doni, nata a Lagonegro il 24 novembre 1913, la prima scrittrice della nostra città. L’incontro con la sua figura è avvenuto mentre cercavo donne che avessero contribuito al nostro patrimonio culturale. Attraverso le mie ricerche, ho scoperto non solo il grande impatto culturale di Donata Doni, ma anche il coraggio con cui aveva affrontato un’epoca che tendeva a escludere le donne dalla letteratura. Ho voluto riscattare la sua memoria pubblicando il saggio Donata Doni: I sentieri dell’anima di una poetessa, perché la sua vicenda rappresenta quello che definirei un “femminicidio letterario”: la sistematica esclusione delle donne dal canone letterario. Oltre a riscoprire e valorizzare il lascito di Donata Doni, ho voluto restituirle il riconoscimento che meritava: nella mia città è stato finalmente inaugurato un busto in suo onore, e l’associazione che avevo fondato ha preso il suo nome. In origine si chiamava Circolo Culturale Monnalisa e Caffè Letterario, ma oggi è diventato il Salotto Letterario Donata Doni.
Nel tuo percorso di ricerca hai scoperto altre figure femminili dimenticate?
Sì, durante le mie ricerche ho scoperto un’altra figura fondamentale per l’emancipazione femminile dell’epoca: Iolanda Baldassarri, benefattrice forlivese. Insieme, Donata Doni e Iolanda Baldassarri fondarono il Centro Italiano Femminile (C.I.F.), un’organizzazione che già allora si occupava di recupero e assistenza per persone in difficoltà, tra cui ragazze madri e donne vittime di violenze durante la guerra. Nel corso della mia lunga carriera di insegnante, ho sempre fatto studiare figure femminili, appassionandomi anche ad eroine di altre regioni, come la siciliana Laura Lanza di Trabia, meglio conosciuta come la Baronessa di Carini. Queste storie mi hanno sempre affascinato perché accomunate da un destino segnato dalla violenza e anche perché la società e la Chiesa hanno spesso relegato le donne ai margini, negando loro spazio e riconoscimento, indipendentemente dal talento o dalla condizione economica. Persino le più facoltose si vedevano tarpare le ali. Con il Salotto Donata Doni, voglio contribuire a riscrivere questa storia, ridando voce alle donne dimenticate.
Quali sono le finalità della tua associazione e quali difficoltà hai dovuto affrontare?
Oltre a presentare libri e organizzare mostre culturali, abbiamo istituito un premio dedicato alle donne, con l’obiettivo di dare voce a talenti rimasti nell’ombra. Il riconoscimento viene assegnato a donne che si sono distinte nella letteratura, nella poesia e nel giornalismo, senza alcuna pressione politica. La nostra associazione è completamente apolitica: il nostro unico scopo è promuovere la cultura e l’inclusione attraverso queste iniziative. Crediamo nelle battaglie pacifiche, silenziose ma incisive, portate avanti attraverso l’arte della letteratura e non solo. Tuttavia, il percorso non è stato privo di ostacoli. Alcune associazioni locali, pur avendo avuto contatti con il fratello della poetessa che stavo studiando, si sono rifiutate di condividere materiali di ricerca come racconti o poesie. Non mi dissero esplicitamente di no, ma evitarono di aiutarmi, forse per timore di riaprire discorsi scomodi. Quando ho finalmente pubblicato un saggio su di lei—un testo che non mi soddisfaceva del tutto, ma che ritenevo importante affinché restasse una traccia scritta—è accaduto qualcosa di inaspettato: improvvisamente, tutti volevano fornirmi i loro materiali. Ma a quel punto, avevo già scelto di proseguire le mie ricerche da sola partendo dall’attestato di nascita. Nel nome di Donata Doni parliamo di violenza sulle donne, soprattutto nelle giornate internazionali del 25 novembre e dell’8 marzo. Anzi, diciamo che per noi l’8 marzo è tutto l’anno. Il mio impegno in questo ambito è stato riconosciuto anche dal coordinamento degli Stati Generali delle Donne di Pavia, che mi hanno conferito un premio per il lavoro svolto.
In che modo questo progetto culturale può creare un ponte tra la Basilicata e gli Stati Uniti, in particolare con la città di New York?
Le attività culturali e sociali che si svolgono nel nome di Donata Doni non sono limitate ai confini italiani: attraverso la letteratura, si crea un ponte tra la Basilicata e gli Stati Uniti, in particolare con New York, dove vivono molti nostri connazionali. Nella mia associazione ho premiato diversi lucani che si sono trasferiti a New York, riconoscendo il valore del loro contributo alla comunità. Hanno portato con sé la cultura e le tradizioni della nostra terra, arricchendo la realtà newyorkese con il loro talento e il loro impegno. Da qui è nata l’idea di rafforzare questo legame, creando un ponte tra i lucani e New York. Questo potrebbe anche essere un modo per coinvolgere la nostra regione nel supportare i nostri connazionali che desiderano tornare spesso, ma che, per motivi economici, non sempre possono permetterselo. Alcuni riescono a tornare in Italia, altri no, ma la cultura permette di mantenere vivo il legame con le proprie radici, offrendo la possibilità di riscoprire una tradizione letteraria lucana spesso poco conosciuta. Purtroppo, nei programmi scolastici italiani troviamo più facilmente autori di altre regioni, mentre la ricchezza culturale della Basilicata merita di essere valorizzata. La letteratura, dunque, diventa uno strumento per far sentire più vicini i lucani d’oltreoceano, soprattutto coloro che non possono tornare spesso nella loro terra d’origine. In particolare, la città di Lagonegro custodisce storie affascinanti, come quella legata alla Gioconda: si racconta che nel 1507 Monna Lisa sia passata proprio da qui, accompagnata dal marito Ser Francesco, un commerciante di pelli diretto in Calabria. Questo episodio, citato dallo storico russo Dmitrij Merežkovskij nel 1901, è ricordato anche da una targa nel paese. È attraverso queste storie—di donne, di cultura e di memoria collettiva—che voglio continuare a diffondere la conoscenza del nostro territorio, rafforzando quel legame tra passato e presente, ma anche tra terre lontane come tra Basilicata e Stati Uniti, tra chi è rimasto e chi è partito.