Ogni anno, dal 5 all’8 settembre, Hoboken si trasforma in una piccola Italia d’oltreoceano. E non una qualunque, ma quella che vive di fede e di nostalgia, di processioni e di cannoli, di statue della Madonna che pesano come un SUV e fuochi d’artificio sul fiume Hudson. È l’Hoboken Italian Festival, una celebrazione che mescola sacro e profano con una disinvoltura tutta americana, in cui la devozione si trasforma in spettacolo e la tradizione diventa un’occasione per fare festa, senza mai dimenticare, però, da dove si viene.
La storia è quella classica, eppure mai banale, dell’emigrazione italiana. Negli anni ’20, un gruppo di molfettesi sbarca in New Jersey con poche certezze ma una fede incrollabile nella Madonna dei Martiri, la protettrice della loro città natale. Era una fede che non si poteva lasciare in patria, come non si potevano abbandonare gli affetti e i ricordi. Così, nel 1927, fondano la Society of Madonna dei Martiri, e da lì nasce la festa che oggi conosciamo, un rito collettivo che ha saputo attraversare generazioni e confini, diventando molto più di una semplice commemorazione religiosa.
Oggi, quella che doveva essere una piccola celebrazione comunitaria ha assunto dimensioni impressionanti: oltre 100.000 persone partecipano ogni anno, in una Hoboken che, per quattro giorni, sembra dimenticarsi del suo ruolo di sobborgo di New York per vestire i panni di un piccolo borgo italiano. Il momento più atteso è la processione del sabato, quando la statua della Madonna, 360 chili di sacralità scolpita, viene portata per le strade del quartiere e poi imbarcata sul fiume Hudson per una benedizione delle acque.
C’è qualcosa di profondamente commovente in questa fusione di mondi. Da un lato, la devozione sincera di chi partecipa alla festa per rendere omaggio alle proprie origini. Dall’altro, l’aspetto più spettacolare, quasi kitsch, che trasforma la tradizione in evento mediatico. Greg Gallo, uno degli organizzatori, parla di riconnettere la comunità italo-americana con le sue radici, ma a guardare bene sembra che sia la festa stessa a riconnettersi con il mondo che cambia, adattandosi alle esigenze di un pubblico che vuole sì ricordare, ma anche divertirsi.
Così, tra una messa in italiano nella chiesa di San Francesco e la commemorazione dei 14 molfettesi caduti durante la Seconda Guerra Mondiale, c’è spazio anche per competizioni di cannoli e sfide tra poliziotti e pompieri di Hoboken. Il tutto condito dalla presenza di Carlo’s Bakery, la celebre pasticceria del Boss delle Torte, che non manca mai di partecipare con i suoi dolci, pronti a ricordare a tutti che, se c’è una cosa che gli italiani sanno fare bene, è rendere ogni evento un’occasione per mangiare bene.
Ma forse è proprio questo il punto: l’Hoboken Italian Festival è la celebrazione di un’identità che si è reinventata, adattandosi a un nuovo contesto senza perdere del tutto il suo significato originale. La fede e la tradizione convivono con la cultura pop, i cannoli con la statua della Madonna, i fuochi d’artificio con il silenzio della commemorazione. È un gioco di equilibri, in cui la nostalgia si mescola alla voglia di festa, e il passato diventa un pretesto per celebrare, senza troppi rimpianti, il presente.
Alla fine, è questo che rende speciale l’Hoboken Italian Festival: la capacità di tenere insieme mondi apparentemente lontani, di far convivere la sacralità di una processione con la leggerezza di un DJ set, senza mai prendersi troppo sul serio. E in questo, forse, c’è una lezione anche per noi: che si può ricordare il passato senza restarne prigionieri, e che anche la nostalgia, se usata con leggerezza, può diventare uno spettacolo che vale la pena vedere.