OpenAI cercherebbe finanziatori in Medio Oriente e si apre al profit perdendo tre dirigenti
Sam Altman, CEO di OpenAI | via Shutterstock

OpenAI cercherebbe finanziatori in Medio Oriente e si apre al profit perdendo tre dirigenti

Il piano di OpenAI per il futuro tecnologico prevedrebbe, dunque, la creazione di innumerevoli centri dati in grado di fornire una riserva globale di potenza di calcolo dedicata alla messa a punto della prossima generazione di intelligenza artificiale

Scossone storico in OpenAI, l’azienda proprietaria di ChatGPT. Negli ultimi mesi, Sam Atman, CEO di OpenAI, ha presentato un piano per costruire una rete globale di centri dati e fabbriche di chip per sostenere lo sviluppo della prossima generazione di intelligenza artificiale. Per realizzare ciò, Altman ha cercato di convincere governi e aziende a unirsi in uno sforzo congiunto, che potrebbe raggiungere costi nell’ordine dei trilioni di dollari.

Parallelamente, l’azienda tecnologica sta lavorando per trasformarsi in una tradizionale azienda a scopo di lucro. Attualmente OpenAI è controllata dal consiglio di un’organizzazione no-profit che Altman e i suoi co-fondatori hanno creato alla fine del 2015 per supervisionare le tecnologie della start-up. A tal proposito, l’azienda è in trattative per un nuovo round di investimenti che potrebbe farne salire la valutazione dagli attuali 80 miliardi di dollari a ben 150 miliardi. Tra i possibili investitori c’è la società di investimenti tecnologici degli Emirati Arabi MGZ, insieme a Microsoft, Nvidia ed Apple. Gli investimenti servirebbero anche a coprire le necessità di liquidi per l’azienda, che spende più di quanto guadagna: le stime parlano di 3 miliardi di dollari l’anno di vendite, a fronte di un monte complessivo di spesa di circa 7 miliardi.

Il piano di OpenAI per il futuro tecnologico prevedrebbe, dunque, la creazione di innumerevoli centri dati in grado di fornire una riserva globale di potenza di calcolo dedicata alla messa a punto della prossima generazione di intelligenza artificiale. Calcolando, come detto, la necessità di un investimento pari ad un quarto della produzione economica annuale degli USA, il piano di Sam Altman potrebbe sembrare un filo stravagante agli occhi dei più scettici. Inoltre, la possibilità che questa infrastruttura, come espresso nei piani dell’azienda, possa in qualche modo coinvolgere investitori mediorientali ed essere costruita in Medio Oriente, ha fatto storcere il naso a più di qualche funzionario statunitense.

Ma di cosa si tratta esattamente? Secondo i piani riportati da Bloomberg, The Wall Street Journal e Reuters, che citano conversazioni con nove persone anonime vicine all’azienda ma non autorizzate a parlare con i media, Altman avrebbe paragonato i centri dati all’elettricità: man mano che quest’ultima si è diffusa nel mondo, le persone hanno trovato modi diversi e migliori di farne uso. Lo stesso concetto verrebbe applicato ai centri di elaborazione dati, permettendo una diffusione capillare delle tecnologie di intelligenza artificiale nelle case e nella vita delle persone.

Proprio per questo il CEO di OpenAI avrebbe avviato colloqui con aziende Big Tech ed investitori per chiedere l’aumento della produzione globale di microchip, essenziali per il raggiungimento degli obiettivi ma afflitti da un cronico shortage a livello mondiale. Ed è qui che entrerebbe in gioco Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, l’azienda produttrice di semiconduttori più grande al mondo e prima fornitrice di Nvidia, principale sviluppatore di chip per l’intelligenza artificiale. Secondo le informazioni disponibili, Sam Altman avrebbe programmato un investimento finanziato dagli Emirati Arabi Uniti per la costruzione di più impianti di chip in Medio Oreinte, precisamente 36 secondo le fonti citate, il cui costo è di circa 40 miliardi di dollari ognuno. L’investimento avrebbe così permesso di abbattere i costi di produzione di TSMC, permettendo a Nvidia di aumentare la produzione di chip da cui, poi, OpenAI si sarebbe potuta rifornire per la creazione dei centri dati per l’intelligenza artificiale.

Ma perché proprio gli Emirati Arabi Uniti? Storicamente si tratta di un Paese con un’abbondante fornitura di energia elettrica. E l’energia elettrica è la ragione per cui negli Stati Uniti non è stato possibile costruire nuovi centri dati: non se ne produce abbastanza per farli funzionare. Nonostante ciò, la pressione politica spingerebbe di più ad un rafforzamento dell’infrastruttura negli USA. In un recente incontro alla Casa Bianca, Altman ha presentato uno studio intitolato “Infrastructure Is Destiny”, in cui sottolinea come la costruzione di nuovi centri dati negli Stati Uniti potrebbe rilanciare l’industria tecnologica nazionale e creare migliaia di posti di lavoro. Il piano prevede la costruzione di centri dati dal costo di circa 100 miliardi ciascuno, capaci di ospitare milioni di chip per l’intelligenza artificiale e richiedere fino a 5 gigawatt di energia elettrica.

Intanto, Will Moss, portavoce di TSMC, ha dichiarato che l’azienda è aperta a discussioni sull’espansione dello sviluppo dei semiconduttori, ma si sta concentrando sui suoi attuali progetti di espansione globale e “non ha nuovi piani di investimento da divulgare al momento.”. Nel frattempo, OpenAI ha avviato colloqui con altri paesi. In Giappone, Altman ha proposto di utilizzare vecchie centrali nucleari dismesse per alimentare nuovi centri dati, mentre in Germania ha esplorato l’idea di sfruttare l’energia eolica del Mare del Nord.

A queste ambizioni, però, fanno seguito le dimissioni di tre dirigenti. La prima defezione riguarda Mira Murati, direttrice tecnologica di OpenAI, seguita poi da Bob McGrew, direttore della ricerca, e Barret Zoph, vice presidente della ricerca, hanno annunciato le proprie dimissioni. I tre, ormai prossimi ex-dirigenti, non hanno fatto cenno a motivazioni legate alla gestione dell’azienda in riferimento alle proprie dimissioni, preferendo parlare di “pausa” e bisogno di più tempo libero.

Sam Altman, nel commentare le dimissioni dei propri dirigenti, ha dichiarato che le partenze di McGrew e Zoph non sono legate alle dimissioni della signora Murati, ma che “aveva senso farlo ora tutto insieme, in modo da poter lavorare insieme per un passaggio di consegne fluido alla prossima generazione di leader.”. Nonostante questo, Open AI è un’azienda in espansione, avendo più che raddoppiato i propri dipendenti solo negli ultimi nove mesi, portando il totale a 1.700. Ad oggi, comunque, dei tredici fondatori che contribuirono alla creazione del colosso nel 2015 ne sono rimasti solo tre.

Condividi questo articolo sui Social

Facebook
WhatsApp
LinkedIn
Twitter

Post Correlati

Ritorna il camping di lusso Governors Island

Se stai cercando una fuga perfetta dalla frenesia della città senza allontanarti troppo, Governors Island potrebbe essere la tua destinazione ideale. E se desideri trasformare questa breve fuga in un’esperienza indimenticabile, Collective Retreats è pronto ad accoglierti con le sue

Leggi Tutto »
Torna in alto