Nippon Steel ha altri tre mesi di tempo per convincere la Casa Bianca a cedere U.S. Steel

Nippon Steel ha altri tre mesi di tempo per convincere la Casa Bianca a cedere U.S. Steel

La vicenda si intreccia così con il destino politico del Paese, con Biden e Harris che fanno della protezione della produzione americana uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale. Dall’altra parte, David Burritt, amministratore delegato di U.S. Steel, si sforza di rassicurare il pubblico: l’accordo con Nippon non solo non metterà in pericolo la sicurezza nazionale, ma la rafforzerà.

C’è una certa fascinazione nell’immaginare un gigante dell’acciaio americano, la gloriosa U.S. Steel, che lotta per rimanere nelle mani degli Stati Uniti, proprio mentre il vento delle elezioni presidenziali si alza in Pennsylvania, il più classico degli swing states. Da un lato, c’è Nippon Steel, colosso giapponese dell’acciaio che spinge per l’acquisizione da 15 miliardi di dollari. Dall’altro, un fronte bipartisan di politici americani, con Biden e Trump curiosamente alleati, che ribadiscono a gran voce: “U.S. Steel deve restare americana”.

La situazione si complica ancora di più quando entra in scena il Comitato sugli Investimenti Stranieri negli Stati Uniti (CFIUS), chiamato a decidere se l’acquisizione da parte di Nippon rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale. L’amministrazione Biden ha recentemente concesso all’azienda giapponese tre mesi aggiuntivi per ripresentare la sua richiesta. Tre mesi di tempo, quindi, per convincere Washington che l’acciaio americano non finirà sotto il controllo straniero. Ma nel frattempo, la Casa Bianca assicura che non ci saranno ritardi né compromessi: “Il Presidente ha promesso ai nostri operai che li avrebbe difesi, e manterrà quella promessa”, ha dichiarato la portavoce Saloni Sharma.

La vicenda si intreccia così con il destino politico del Paese, con Biden e Harris che fanno della protezione della produzione americana uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale. Dall’altra parte, David Burritt, amministratore delegato di U.S. Steel, si sforza di rassicurare il pubblico: l’accordo con Nippon non solo non metterà in pericolo la sicurezza nazionale, ma la rafforzerà. Secondo Burritt, la fusione permetterebbe all’acciaio americano di competere meglio con la Cina, offrendo nuove opportunità economiche e mantenendo i posti di lavoro. “Quando avremo finito di fare tutte le analisi, sarà chiaro che questo accordo è nell’interesse nazionale,” ha affermato con sicurezza.

Il sindacato United Steelworkers, però, non sembra affatto convinto. Anzi, i rappresentanti dei lavoratori dell’acciaio accusano Burritt di voler ingannare i dipendenti per ottenere una buonuscita sostanziosa, sacrificando i loro diritti e le loro pensioni sull’altare del profitto. In una lettera indirizzata ai membri del sindacato, i leader hanno ribadito la loro opposizione alla proposta giapponese, chiedendo a gran voce che l’operazione venga bloccata per il bene della difesa nazionale. Un’altra delle tante voci che si levano contro l’acquisizione, questa volta dal cuore pulsante delle acciaierie americane.

A complicare ulteriormente la faccenda, c’è la posizione geografica e politica di U.S. Steel, il cui quartier generale si trova in Pennsylvania, uno stato chiave per le elezioni di novembre. Se l’accordo con Nippon fosse bloccato, Burritt ha già minacciato di spostare la sede dell’azienda e ridurre drasticamente la forza lavoro. Ma cosa succederebbe davvero agli operai della Pennsylvania? Nippon promette investimenti e ammodernamenti, ma il sindacato teme che tutto questo resti solo sulla carta, come spesso accade nei giochi del capitalismo globale.

Il destino di U.S. Steel si gioca così su più tavoli, in bilico tra la geopolitica, le promesse elettorali e le aspirazioni di una potenza straniera. Sullo sfondo, resta l’eterno dilemma americano: fino a che punto è lecito sacrificare un simbolo della propria identità industriale sull’altare della competizione globale? E chi, tra politici, imprenditori e operai, ne uscirà davvero vincitore? Nel frattempo, il CFIUS ha ancora tempo per analizzare i possibili impatti sulla sicurezza nazionale e sulle catene di approvvigionamento critiche. La decisione finale, però, sarà influenzata anche dal contesto politico ed economico, lasciando il futuro di U.S. Steel incerto.

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